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Busta paga, ecco chi si trova 1.300 euro in più: la rivoluzione

Michele Zaccardi
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Se le risorse con cui finanziare la manovra sono ancora incerte, la misura cardine è invece sicura: il taglio del cuneo contributivo. Costa circa 10 miliardi di euro e riguarda 14 milioni di lavoratori. L’obiettivo del governo, come ha ribadito il premier Giorgia Meloni, è quello di confermare lo sconto rafforzato in vigore da luglio. In questo caso, nel 2024 le buste paga saranno molto più pesanti rispetto a quest’anno. Il motivo è che tra gennaio e luglio del 2023 lo sconto era pari a 2-3 punti, mentre negli ultimi sei mesi è stato portato a 6-7. A fare i conti su quanto entrerà nelle tasche dei lavoratori dipendenti è lo studio legale Studio De Fusco Labour & Legal, che ha realizzato una simulazione per Money.it. La sforbiciata, introdotta da Draghi e poi potenziata dall’attuale esecutivo, prevede un taglio di 7 punti dei contributi fino a 25mila euro di reddito e di 6 punti fino a 35mila.

L’intenzione del governo è dunque mantenere questi sgravi «e anche qualcosa in più», come ha detto Meloni. Anche se ieri il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, ha messo le mani avanti: tutto dipenderà dalla Nota di aggiornamento al Def, «il nostro obiettivo è una proroga per tutto l’anno, ma dobbiamo trovare le risorse». Se il taglio dovesse venire confermato i vantaggi sarebbero considerevoli. Per fare un esempio, con una retribuzione lorda di 10mila euro, l’aumento netto in busta paga sarebbe di 44,92 euro al mese e di 583,96 all’anno, ben 179 euro in più rispetto ai 404 di tutto il 2023. Per chi guadagna invece 25mila euro l’incremento mensile sarebbe pari a 96 euro per 1.248 euro annui, con una maggiorazione di 384 euro rispetto al 2023. Infine, con una retribuzione di 35mila euro, il taglio vale 98,5 euro al mese e 1.281 l’anno (459 euro in più). Si tratta, insomma, di un vantaggio notevole. Per rafforzarlo ulteriormente, il governo sta studiando la possibilità, prevista dalla riforma fiscale, di passare a 4 a 3 scaglioni Irpef, accorpando i primi due (23% fino a 15mila euro e 25% fino a 28mila euro).

Il taglio del cuneo contributivo, infatti, gonfia l’imponibile Irpef, che è calcolato al netto dei contributi: se questi si riducono, cresce la quota soggetta all’imposta. «L’obiettivo è accorpare i primi due scaglioni in un unico scaglione con un’aliquota al 23%» ha dichiarato ieri Leo a SkyTg24. In questo modo, ha aggiunto il ministro, si «eviterebbe che le risorse in più in busta paga derivanti dal taglio del cuneo possano essere in alcuni casi “mangiate” dalla tassazione». Il nodo, però, è sempre quello delle risorse. «Bisogna vedere se si troveranno» ha detto Leo, spiegando che per il taglio del cuneo e l’ accorpamento dei primi due scaglioni ci vogliono circa 14 miliardi di euro.

Tra le coperture, il viceministro ha indicato la riduzione delle “spese fiscali”, quella selva di deduzioni e detrazioni che valgono in totale 82 miliardi di euro di minori entrate per il bilancio statale (626 voci), a cui vanno aggiunte quelle degli enti locali (114). «Facendo un lavoro chirurgico» ha detto Leo, «penso che al massimo si possa raggiungere tra 800 milioni è 1 miliardo di euro». Risorse che potrebbero andare a «beneficio della riduzione da 4 a 3 aliquote Irpef». Per quanto riguarda la detassazione delle tredicesime, il viceministro ha sottolineato che è «abbastanza complesso» trovare le risorse con cui finanziare la misura per il 2023, mentre «nel 2024 si potrà mettere a terra», come previsto dalla delega fiscale. Sempre sul fronte della riforma, Leo ha puntualizzato che il concordato preventivo biennale per le imprese non è un condono. «Non stiamo facendo nessuno sconto: nel momento in cui noi sappiamo esattamente qual è il reddito di quel contribuente, quel reddito viene assoggettato alle imposte regolari». Dunque non c’è «nessun condono». 

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