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Ultima generazione, se il loro delirio è più importante della salute degli altri

Giovanni Sallusti
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Il dialogo rimbalzato ieri in rete tra il gretino in capo alla testa degli sciroccati che hanno bloccato viale Fulvio Testi a Milano e il poliziotto che attingendo a dosi impensabili di autocontrollo prova a farlo ragionare può essere interpretato con registri diversi. Quello della commedia, se ci mettiamo dal punto di vista dell’attivista, che pare la parodia supercazzolara dei progenitori sessantottini (a un certo punto farfuglia «se volete fare... com’è che si chiama... dei negoziati», prendendosi di rimando un serafico «Io non devo negoziare»). Quello della tragedia, se ci mettiamo nei panni dell’agente, che per 1500 euro scarsi al mese deve interagire pure coi mattoidi green di Ultima Generazione, mantenendo la calma contro ogni umana sopportazione.

C’è un momento però rivelatore e allo stesso tempo gravissimo, un salto di qualità di quello che pure era già il delirio, esistenziale e civile, degli eco-apocalittici. «Noi abbiamo chiamato il 118 per far sì che le ambulanze non passassero di qua...». Un attimo, prego? Costui sta rivendicando il diritto di stabilire i tracciati dei mezzi di soccorso medico, sta dicendo che il passatempo talebano-chic del sit in ambientalista conta più delle cure da prestare, della loro tempestività, della stessa vita umana? Si sta davvero vantando di aver perfino avvisato le maledette e inquinanti ambulanze di non passare di lì? Lì, peraltro, significa nel bel mezzo di un’arteria che collega la città alla cintura milanese, perdipiù vicinissimo alla clinica Multimedica.

 


NEL GRUPPO UNA 72ENNE
All’altezza di Cinisello Balsamo, sei manifestanti, sei signore davvero convinte di incarnare l’ultimo giro di ruota dell’umanità su questa terra (tra cui anche una 72enne persuasa che «sia un dovere delle persone della mia età assumersi le proprie responsabilità», parola raramente spesa in modo più ossimorico), si sono legate tra loro e hanno bloccato il traffico delle otto di mattina, quello di chi su questa terra ci deve lavorare. Si è formata una coda di oltre dieci chilometri, nella quale è finita per rimanere intrappolata anche un’ambulanza. Già prima, alcuni automobilisti avevano provato a ripristinare le priorità minime: «Devo andare a lavorare in ospedale, fammi passare»; «Qui ci sono medici, infermieri...», «Ci sono medici che devono andare a operare, renditi conto!» (un gruppo di studenti non ringretiniti che assiste alla scena, peraltro, solidarizza con loro: «Ma fateli passare!»).

Niente, le mesdames turbate dal grado Celsius in più non si rendono conto: il climatismo catastrofista, da buon erede spurio del marxismo, ama molto l’Umanità in generale, ma detesta gli uomini in carne e ossa, specie quando infastidiscono l’autocelebrazione pubblica dell’ideologia. Finalmente, dopo una ventina di minuti l’ambulanza bloccata e l’arrivo delle forze dell’ordine convincono le Erinni ecologiste a sgombrare, ed è a quel punto che s’inserisce la surreale discussione tra il loro capoccia (che se ne stava in disparte, non un fulgido esempio di viril coraggio) e l’incredulo poliziotto. La tesi del primo pare uscire da una pièce di Ionesco, riletto alla luce di Greta Thunberg: «Noi ci siamo spostati per far passare un’ambulanza, possiamo gentilmente rimetterci e poi ci spostate?».

 



VIOLENZA PRIVATA
Insomma, il temerario vuole la photo-opportunity con le sue colleghe trascinate a forza dalla pubblica sicurezza, ma sbatte inesorabilmente contro il buon senso dell’agente: «No, ci stiamo prendendo in giro se facciamo questo». E la presa in giro è in effetti la cifra stilistica di un gruppo ambientalista che per pubblicizzare la causa s’inventa un interminabile ingorgo super-inquinante. Non è un dialogo, sono due monologhi paralleli. Il poliziotto prova a rendere intellegibile l’ovvio: «Voi vi dovete spostare obbligatoriamente, perché state commettendo un reato...». L’eco-stralunato si fa solenne: «No, noi non dobbiamo nulla, noi scegliamo». E l’altro, scalzando Giobbe dal primato biblico della pazienza: «No, voi non scegliete, nel momento in cui state infrangendo la legge dovete essere tolti dalla strada. Si chiama violenza privata, è un reato». Ma il condottiero riluttante ci tiene proprio, a esibire mancanza di comprendonio: «Lei sceglie di fare il suo lavoro». «No, devo farlo». Ormai è una versione satirica della contrapposizione pasoliniana tra poliziotti e “figli di papà” contestatori. Non fosse per quella follia al quadrato, l’idea di dirottare a piacimento i mezzi del 118. Che l’eroico agente archivia con un sorriso amarognolo: «Non decidete però voi la tratta di un’ambulanza, capisci?». Gioco, partita, incontro.

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