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Contro la religione dei sacerdoti green recuperiamo i vecchi pragmatici ecologisti

Corrado Ocone
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Ci fu un tempo, suppergiù a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, in cui in Italia si cominciò a parlare di ecologia con una certa insistenza. Superata la fase della modernizzazione industriale e, più in generale, del cosiddetto boom economico, cominciò a maturare nel Paese una certa sensibilità sulla necessità di correggere alcune “distorsioni” o “effetti collaterali” causati dallo sviluppo.

In quel frangente si parlava soprattutto di “inquinamento”, un termine che oggi è quasi scomparso dal dibattito pubblico, riferendosi a fatti molto concreti: la presenza dello smog nelle grandi città, gli scarichi tossici nelle falde acquifere, il mancato smaltimento dei rifiuti industriali. Sulla scia di ciò che accadeva in altri Paesi, anche da noi nacque un movimento e un partito dei Verdi. Guardando superficialmente le cose, si potrebbe dire che l’odierno ambientalismo (termine che ha sostituito quello di ecologia) sia l’erede di quella stagione.

 

 

I SALVATORI DEL MONDO - In verità, un salto epocale è avvenuto anche a livello ideale. Oggi, in questo campo, non si punta più a individuare problemi concreti e palpabili, né a risolverli con gli strumenti che la stessa tecnica può mettere a disposizione o con opportune politiche municipali (lo smog e il fumo nerastro che si addensava nelle metropoli ora è sicuramente inferiore, e comunque è sotto controllo). Oggi si ragiona “in grande”, con tutti gli errori del caso, ponendo mano a politiche costruttivistiche che, oltre ad essere profondamente illiberali, possono dar luogo a pericolose conseguenze inintenzionali come la storia e la dottrina ci mostrano fin troppo chiaramente.

Detto in altri termini, in tema di ambiente, si è passati da una puntuale aderenza al reale ad un pensiero ideologico e millenaristico con forti tratti salvifici. Un pensiero, fra l’altro, non più “minoritario”, ma diventato una sorta di mainsream pervasivo.. In sostanza, non si vuole risolvere pragmaticamente dei problemi concreti ma ci si propone nientemeno che di “salvare il pianeta”, in primo luogo direi dalla presenza dell’uomo.

 

 

Lungi dall’essere considerato un agente positivo, per quanto in continuo rapporto con il suo habitat naturale, l’uomo viene oggi visto come una sorta di batterio pericoloso da tenere sotto controllo, se non proprio (o non ancora) da estirpare. Ecco allora che il problema prioritario diventa il cosiddetto “cambiamento climatico”, un fenomeno che è controverso fra gli stessi scienziati, soprattutto per quel che concerne la sua origine antropica. I moderni ambientalisti non solo assumono queste idee come dogmi, tacitando ogni discussione o spirito critico, ma, dando ai loro discorsi toni catastrofisti o apocalittici, pretendono e quasi sempre riescono ad imporre draconiane e suicide (soprattutto per l’Occidente) politiche di contrasto. Ovviamente ognuno ha il diritto di credere nel suo Dio, fosse pure il Dio Clima, ma il problema è quando la nuova religione si fa intollerante e pericolosa, come spesso accade in questo caso. Essa, inoltre, distrae proprio dai problemi concreti, quelli che potrebbero risolversi se ad essi si dedicasse un’attenzione maggiore. Recuperare almeno un po’ del pragmatismo del primo ecologismo, sarebbe esso sì un processo “disinquinante”. Anche per le nostre menti. 

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