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Bassa reggiana, la banda dei trattori fa razzia: l'ultima frontiera del crimine

Luca Puccini
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C’è a malapena il rombo del motore. Che però non lo senti, perché agiscono di notte, col buio, nei capannoni di campagna, magari quelli più isolati, dove in giro non c’è più nessuno e, quando va bene, restano accese giusto le telecamere di sicurezza. A Reggio Emilia (ma mica solo lì) la chiamano “la banda dei trattori”. Ed è esattamente ciò che dice il nome: un manipolo di delinquenti che s’intromette nelle aziende agricole, scardina porte e divelle claire, danneggiando pure i garage, per sgommare via a bordo della sua stessa refurtiva.

In genere trattori John Deere, quei mezzi giganteschi con le ruote alte anche un metro, cromati di verde e coi cerchioni gialli. Li abbiamo visti tutti almeno una volta, nei campi, in mezzo alle colture. L’ultimo colpo, “la banda dei trattori”, l’ha messo a segno mercoledì scorso a Fogliano, Emilia Romagna. Tempo d’esecuzione: venti minuti. Valore del furto: circa centomila euro (senza contare i soldi che i fratelli Bastardi, i titolari della ditta svaligiata, dovranno sborsare per riparare i locali messia soqquadro dai ladri).

 

 

FURTI A RAFFICA - Due persone incappucciate. Sono arrivate a piedi. Hanno tagliato il telo del capannone e sono entrate. Hanno spostato uno spartineve (che è un aggeggio che può pesare anche centinaia di chili) e dal buco han tirato fuori i due John Deere. Arrivederci. Solo che non è la prima volta che succede: tra Reggio Emilia e Modena, solo nell’ultimo mese, si contano si contano e episodi a raffica, tanto che le forze dell’ordine hanno intensificato i controlli (e le indagini) e inizio ottobre ne hanno recuperati due, di trattori. Un New Holland e un Landini: erano “parcheggiati” in un’area dismessa, un ex macello, un luogo isolato che con ogni probabilità era anche il posto perfetto per nascondere quei mezzi giganteschi prima di consegnarli, più o meno chiavi in mano, a qualche ricettatore. A Ferrara, circa venti giorni fa, sono spariti nel nulla altri due John Deere (80mila euro); di nuovo a Reggio Emilia, a settembre, in appena quattro notti sono stati denunciati sei furti; a giugno, tra il Milanese e il Lodigiano e la Brianza Lombarda idem, due segnalazioni al giorno e danni per 600mila euro a settimana (l’ha detto Alessandro Rota, il presidente della Coldiretti di Milano).
Colpo grosso in cascina.

Ma quale sofisticata impresa nei caveau iper-presidiati delle banche o nei distretti dei diamanti, è molto più facile (e redditizio) rubare i trattori e le macchine agricole. E, tra l’altro, il fenomeno non è neanche nato oggi. Macché.

Va avanti da danni. L’Unacma, che è l’associazione dei commercianti che trattano appunto di questo, cioè delle macchine per l’agricoltura, già nel 2017 ha presentato al Senato una serie di dati che la dicono tutta: dicono, infatti, che gli “agro-criminali” colpiscono circa 9mila volte all’anno. Mentre la Coldiretti, l’associazione degli agricoltori, nello stesso periodo, ha segnalato che questo business (illegale) vale qualcosa come 300 milioni di euro (in danni), sempre ogni dodici mesi.

 

 

È che uno non sta più tranquillo nemmeno in campagna.

ROTTA BALCANICA - Roccafranca, Brescia, tre giorni fa: due trattori rubati. Casalino, Novara, una settimana fa: tre trattori di ultima generazione rubati. Montichiari, di nuovo Brescia, il mese scorso: due trattori rubati. Stintino, Sassari, perché il malcostume quando prende prende ovunque, metà settembre: un trattore rubato. Barneano, Pordenone, inizio settembre: un trattore rubato. Potremmo andare avanti all’infinito. Furti a scopo estensivo (qualcuno: nel senso che c’è chi si è visto chiedere un “riscatto” di 20mila euro per riavere indietro il macchinario che gli serviva per arare la piantagione di patate, e senza quello non campava) e su commissione (tutti gli altri: che poi finiscono nel racket dell’estero, il più delle volte sulla “rotta balcanica”, ossia rivenduti nel mercato nero dei Paesi dell’Est e chi s’è visto). Quasi sempre, le ultime vicende di Reggio Emilia lo provano plasticamente, non si tratta di novellini o di mariuoli improvvisati. È gente che sa il fatto suo, che non lascia nulla al caso, che ci arriva preparata, al capannone, e sa dove mettere le mani. «Anche saperli accendere senza avere le chiavi è tutt’altro che banale», spiega uno degli ultimi rapinati. 

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