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Società civile in piazza? Sono i soliti che negano il risultato delle urne

Fausto Carioti
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Come se la sinistra italiana, da trent’anni a questa parte, avesse un unico copione da mettere in scena. Tipo uno di quei musical sempreverdi che attraversano i decenni: si sostituiscono gli interpreti che invecchiano, si dà una rinfrescatina ai cori e ai costumi, ci s’inventa un “gancio” con le ultime vicende, nel tentativo di offrire qualcosa di palatabile alle nuove generazioni. Piccoli ritocchi alla forma che non cambiano la trama, immutabile.

Quella che si mobilita per protestare si fa chiamare “società civile”, ma è la sinistra che non accetta il risultato delle urne. Facile citare Pietro Nenni e quel suo «piazze piene, urne vuote», ma qui la sequenza va invertita: sono le urne vuote che spiegano la coazione a ripetere la discesa in piazza. È così dal 1993, prima ancora che irrompesse Silvio Berlusconi. Il 30 aprile scesero in piazza contro Bettino Craxi, dopo che il parlamento aveva negato l’autorizzazione a procedere nei confronti del segretario del Psi. I social network non esistevano, il “popolo dei fax” canalizzava la sua rabbia con l’unico strumento tecnologico che aveva a disposizione, chiedendo a procure e redazioni di sostituire il giudizio degli elettori col tribunale del popolo (che poi erano loro). La rivolta - riuscita - contro il decreto Conso inaugurò la saldatura tra indignati e procure.

Così l’anno dopo, quando arrivò il Cavaliere, il comitato d’accoglienza era già pronto. Si era votato a marzo e il 25 aprile a Milano sfilarono in centinaia di migliaia contro un governo che non si era ancora insediato. Fu l’inizio di un rituale che si è ripetuto sempre uguale ogni 25 aprile in cui a palazzo Chigi c’è stato qualcuno che si era permesso di vincere le elezioni da destra: prima il fondatore di Forza Italia, ora la leader di Fdi. E che la Liberazione dal nazifascismo e la difesa della Costituzione non abbiano nulla a che vedere con quelle mobilitazioni lo testimoniano tutte le volte in cui i partigiani della Brigata ebraica sono stati cacciati dai cortei (sempre Israele, l’abisso in cui precipita la coscienza della sinistra).

Nel 2002 la compagnia cambia nome: si fa chiamare movimento dei girotondi. Lo slogan sul cartellone glielo scrive il procuratore generale di Milano, Francesco Saverio Borrelli: «Resistere, resistere, resistere come su una irrinunciabile linea del Piave». Nel 2009 si travestono da «popolo viola», sempre invocando la gogna per il centrodestra e il suo leader, che intanto avevano vinto di nuovo le elezioni.

 

 

 

MINIMI CAMBIAMENTI

Ma quando al governo arriva Giorgia Meloni il randello giudiziario ha fatto il suo tempo. Niente processi, niente conflitti d’interessi, niente olgettini. Allora lo show deve cambiare un po’, adeguarsi ai tempi e al nuovo nemico, aggrappandosi a quello che c’è. Cosa c’è? C’è il fascismo, ovviamente, che come aveva scritto Umberto Eco è «eterno». È l’alibi che serve alle femministe e agli altri collettivi per appendere a testa in giù il fantoccio raffigurante la premier nelle strade di Bologna, per impedire alla ministra Eugenia Roccella di presentare il suo libro al Salone di Torino e per mobilitarsi l’8 marzo, il 25 aprile, il primo maggio e in una miriade di altre occasioni contro i «fascisti». Ci sono le alluvioni, e lì le avanguardie sono gli eco-talebani di Ultima generazione, i boy scout della società civile. E ci sono i femminicidi.

 

 

 

Basta leggere l’appello di “Non una di meno”, che ha organizzato il corteo romano di ieri, ascoltare i cori e vedere gli striscioni, per capire che è l’ennesimo riadattamento del vecchio copione: chi ha partecipato alla protesta lo ha fatto contro ogni provvedimento varato e annunciato dal governo, da quelli sull’immigrazione alla costruzione del ponte sullo Stretto, e contro Israele. Il pretesto che porta in piazza cambia, ma l’obiettivo è lo stesso di trent’anni fa. Anche per questo, a manifestare è sempre lo stesso giro di persone. E il racconto che fa lo scrittore Francesco Piccolo ne Il desiderio di essere come tutti potrebbe stare nella biografia di ognuna di loro: «Ne ho avuto voglia non solo per il motivo per cui si manifestava, ma anche perché così potevo incontrare un sacco di gente che conoscevo, passare il pomeriggio con tante persone che non vedevo da tanto tempo. Per me era come andare alle feste». Il circolo degli sconfitti alle elezioni, che almeno lì, nei loro cortei, riescono ad essere maggioranza. 

 

 

 

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