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Che brutta fine ha fatto la Luiss: pensatori addio, ora l'anno lo inaugura la Cortellesi

Fausto Carioti
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Se l’università prima in Italia, seconda nella Ue e quattordicesima nel mondo per gli studi politici e internazionali (nelle altre materie non va altrettanto bene, ma non si può avere tutto) si rispecchia in Paola Cortellesi, che per recitare abbandonò la facoltà di Lettere molti anni fa, vuol dire che c’è un problema serio. Che non riguarda la regista, sceneggiatrice ed attrice di C’è ancora domani, ma l’ateneo in questione. Ossia la Luiss, l’università degli Studi sociali intestata a Guido Carli e di proprietà di Confindustria. L’appuntamento è per mercoledì 10 gennaio alle 11. Nell’aula magna ci sarà la cerimonia d’inaugurazione dell’anno accademico 2023-24. Nessun nume internazionale della filosofia o dell’economia che apra le finestre sul mondo che verrà. Tutto l’evento è concentrato sulla Cortellesi, unico «ospite d’onore», e sul suo discorso, inevitabilmente destinato a girare attorno al tema del film, che poi è il motivo per cui è stata invitata lì. L’argomento degli ultimi due mesi, non dei prossimi vent’anni. E dopo averne parlato ovunque, in televisione e sui giornali, non potrà far altro che ripetere i soliti concetti, ovviamente facendolo benissimo e condendoli con qualche battuta simpatica, come solo gli attori sanno fare.

 


Il punto è proprio questo. L’inaugurazione dell’anno accademico non è un talk show dove devi avere ospite il personaggio di copertina per fare share, non è il palco di Sanremo dove è obbligatoria la presenza della donna di spettacolo che recita accigliata il suo monologo profondo, per far credere che oltre alle canzonette ci sia di più. È il momento in cui ogni ateneo celebra se stesso e dà spazio agli studi che vengono fatti nelle proprie aule. È per questo che la regola non scritta, adottata da molte università, vuole che quel palco sia riservato alla prolusione di una delle eccellenze accademiche interne, che alla Luiss non mancano. Certo, si può affidare l’onore a un personaggio esterno. Ma deve essere una figura d’eccezione, un maestro del pensiero o il titolare di una carica con un valore indiscutibile.

 

 

La facoltà parigina di Sciences Po, ad esempio, quanto a smanie politicamente corrette non è seconda a nessuno. Basta vedere la home page del suo sito, dove le star sono i laureati in «studi di genere», tipo la ragazza che ha studiato «le mascolinità» (plurale) e il suo collega che ha preso il diploma per «sfidare le norme di genere». Eppure, per inaugurare il proprio anno accademico, Sciences Po ha chiamato la francese Esther Duflo, che insegna al Massachusetts Institute of Technology e nel 2019 ha vinto il Nobel per l’Economia. Anche lei, con i suoi studi sulla povertà globale, rientra appieno nel catalogo delle figurine mainstream, ma ha un peso accademico di primo livello. Non è una delle tanti bravi attrici impegnate, che pure a Parigi abbondano. La stessa Luiss un anno fa, per quell’occasione, aveva chiamato la manager Ornella Barra, ai vertici di una multinazionale statunitense. Quello precedente era toccato a Ngozi Okonjo-Iweala, direttore generale dell’Organizzazione mondiale del commercio. Nel novembre del 2020 a Ilham Kadri, top manager marocchina della Solvay, e dodici mesi prima a Kwame Anthony Appiah, filosofo britannico con cattedra alla New York University.

 

 

Tutti scelti con cura in modo da evitare lo stereotipo del maschio bianco di successo (anche la Luiss, ovviamente, ha la sua missione «Diversity & Inclusion»), ma comunque modelli ai quali ispirarsi, se non altro per la posizione raggiunta grazie ai loro studi, e con uno status che ha permesso loro di svolgere una vera e propria «lectio magistralis». A differenza della Cortellesi, che «magistra» non può essere e dunque, come si legge nell’annuncio, si limiterà ad un «intervento» dal palco, tipo quelli che gli attori fanno nelle convention aziendali degli associati di Confindustria. E poi la Luiss è nata per essere il tempio italiano del liberalismo e dell’atlantismo. Ha avuto in cattedra personaggi come Antonio Martino e Luciano Pellicani, per citare due giganti scomparsi di recente. È la prima università italiana in cui si è studiato sul serio Karl Popper, grazie a Dario Antiseri. E si potrebbe continuare. Identificarsi in un’attrice e nel tema ritrito della lotta al patriarcato significa preferire la zuffa del momento a due millenni di lotta delle idee all’interno del pensiero occidentale. Oltre a trasmettere agli studenti l’idea che i modelli da imitare non sono quelli che si laureano e passano gli anni sui libri, ma coloro che mollano anzitempo gli studi per fare ciò che vogliono. E va da sé che per una Cortellesi che sfonda ce ne sono mille che trascorreranno la vita a consegnare pizze. (Anche se dopo l’autogol di Pier Luigi Celli, il direttore generale della Luiss che nel 2009 scrisse pubblicamente al figlio di andare a studiare all’estero, «dove ha ancora un valore la lealtà, il rispetto, il riconoscimento del merito e dei risultati», questo pare una pinzillacchera).

 

 

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