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Il Covid sbiadisce ma nessuno lo dice: che cosa sta succedendo davvero

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Claudia Osmetti
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È tutto in calo, ma nessuno lo dice: guarda che caso. Gli allarmisti, i “pandemisti”, i gufi: quelli che prima di Natale volevano le Feste senza baci e senza abbracci, con la mascherina sul naso, il-panettone-sì-però-a-distanza, gli-auguri-van-bene-ma-prima-facciamoci-un-tampone. Manco fossimo ancora in quel maledetto 2020 che col nuovo anno ha una sola cosa in comune: era bisesto. Non per questo, tuttavia, il 2024 sarà anche funesto. Lo dicono i dati, dopotutto. Lo dice la scienza. Mica noi che siamo giornalisti e facciamo un altro lavoro, raccontiamo cioè quello che vediamo. E vediamo (nell’ordine) che: i ricoveri legati al Covid sono sempre di meno, che l’indice di trasmissibilità del Sars-Cov2 è sempre più basso, che pure l’incidenza dei contagi si sta sforbiciando. Ma, insomma, che succede? Vuoi vedere che il catastrofismo con cui s’è aperto dicembre era una proiezione sbagliata?

L’INFLUENZA
Ecco, appunto. Se c’è qualcosa che “spaventa”, oggi, è l’andamento dell’influenza. Quella stagionale, quella che viene tutti gli anni, quella che di certo non è una novità come non è una novità che a gennaio e nei mesi freddi fa il pienone di pronto soccorso e ambulatori e ospedali. Nelle cliniche pediatriche la situazione è stabile; le terapie intensive sono le uniche che segnano una percentuale in leggero amento (dal 3,2% al 6%, che però in termini assoluti vuol dire niente che non si possa gestire perché si traduce in qualche unità per struttura sanitaria). Eccolo lì, il “ritorno” del virus. Per fortuna è un film che non ci tocca (ri)vedere. Giovanni Migliore, il presidente della Fiaso, ossia la Federazione italiana delle aziende sanitarie e ospedaliere, è diretto: «I virus influenzali stanno avendo un impatto maggiore, soprattutto sulla popolazione di anziani e fragili che, per affrontare le conseguenze di scompensi respiratori, affolla i pronto soccorso in attesa del ricovare». Pressione sulle corsie registrata nell’ultima settimana del 2023: meno 16%. Pressione sui reparti ordinari di malati a causa del Covid: meno 7% (tra parentesi, nove su dieci di quelli che ci sono sono soggetti che hanno alle spalle anche altre patologie). Pressione dei pazienti ricoverati con il Covid (c’è differenza nella preposizione, tre anni di emergenza sanitaria ce l’hanno spiegata fin troppo bene): addirittura meno 22,5% (di nuovo tra parentesi, sette su dieci di loro “affollano” i reparti Covid ordinari e la media d’età è di 77 anni).

 


Signori, basta. Che non significa che è tutto finito e che possiamo non pensarci più, però non guardiamo nemmeno nero. «Il Covid», spiega ancora Migliore, «in questa fase sta lasciando il posto all’influenza. Anche osservando i numeri della rete RespiVirNet (una sorta di sorveglianza integrata epidemiologica coordinata dall’Iss, l’Istituto superiore di sanità: ndr) si vede chiaramente come alla maggiore circolazione dell’influenza, in queste settimane, corrisponda una progressiva riduzione del Covid». È una buona notizia, ma non la dà (quasi) nessuno.
Buffo Paese, il nostro: abbiamo riempito paginate e paginate sui balconi dei lockdown e non troviamo due righe per informare che il “nemico ospedaliero numero uno” dell’inizio 2024 non è il Covid, ma è l’influenza. Va così. E va anche che la stragrande maggioranza dei pazienti Covid di oggi non presenta infezioni respiratorie gravi. Deve essere isolata, certo.
È la procedura. Deve essere tenuta lontana dai fragili, chiaro. Bisogna anche ricordare ai fragili che il vaccino c’è sempre e che è un bene farlo, d’accordo anche su questo. Però diamoci pure gli annunci positivi. Altrimenti il rischio è di cadere il quei mesi là, quelli che erano un pandemonio. Stiamo dicendo che va tutto bene, che gli ospedali non sono congestionati e non c’è nessun picco? No. Stiamo dicendo che i pronto soccorso sono alle prese con l’influenza. Tutto qui.

IL BOLLETTINO
Il bollettino Covid della settimana scorsa (quello nuovo dovrebbe uscire oggi) scrive che nell’ultima settimana del 2023 l’indice di trasmissibilità del virus è calato a 0,76 (prima era dello 0,96), quindi non siamo ben al di sotto della soglia endemica; che l’indecenza si è abbassata a settanta (da 103) casi ogni 100mila abitanti; che il numero dei contagi ogni sette dì si è assottigliato a 40.988 (contro i 60.556 di prima). «Cresce l’epidemia influenzale», commentava poco dopo Natale il direttore generale della Prevenzione sanitaria del ministero della Salute Francesco Vaia, «ma contemporaneamente cresce anche il tasso di vaccinazione, sia per l’influenza che per il SarsCov2, grazie all’impegno delle Regioni e agli open day». Fine. Anzi, no. Come volevasi dimostrare. 

 

 

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