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Capezzone, "cosa c'è dietro il blitz dei centri sociali"

Daniele Capezzone
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No, non c’è solo l’orrendo assalto di Vicenza, l’attacco fisico contro simboli e persone legate a Israele, significativamente avvenuto il giorno dopo le parole sconsiderate e irricevibili di Elly Schlein, che - lo ricorderete - era arrivata ad accostare a Gerusalemme il concetto di «crimini di guerra». E già questa doppia correlazione, quella temporale tra le parole di Gubbio e l’assedio vicentino, e quella concettuale tra Israele e crimini di guerra, mostra l’abisso in cui è precipitata la sinistra italiana.
Certo, bisogna sempre distinguere le differenti gradazioni di responsabilità: chi dà fisicamente la caccia all’ebreo e chi pronuncia parole politicamente insensate non sono certamente la stessa cosa. Ci mancherebbe.


Ma sin d’ora possiamo dire che c’è un elefante nella stanza, e si tratta della questione chiamata “antisemitismo”. Si badi: per anni, ci era stato raccontato che il pericolo potesse tornare da destra, dove invece appare del tutto marginale o addirittura inesistente. Semmai il virus si ripropone a sinistra, in gruppi militanti ma pure da parte di intellettuali autorevoli, di accademici rispettati. A testimonianza del fatto che abbiamo visto – per ora – solo la punta dell’iceberg: sotto c’è molto di più, sia in luoghi infrequentabili, sia nei presunti quartieri alti, in territori ritenuti “sicuri”. Sarà bene tenerne conto e discuterne a lungo.

 

 


Si tratta di una verità scomoda ma difficilmente cancellabile: l’ondata anti-Israele e anti-ebrei è tutta vostra, cari compagni. Ci sarà qualcuno (in altra circostanza accadde, molti decenni fa, a proposito di terrorismo e Brigate Rosse, da parte di Rossana Rossanda sul Manifesto) che avrà il coraggio di riconoscere che questa spiacevolissima scoperta fa parte del vostro “album di famiglia”. E la controprova sta in un’altra operazione, assai meno grossolana, anzi di gran lunga più sofisticata rispetto a un assalto da militanti di centri sociali. E si tratta di un’attività incessante – mediatica, politica, culturale – per offuscare i fatti del 7 ottobre: l’eccidio di donne e uomini ebrei avvenuto in quella occasione, e il fatto che tuttora ci siano ostaggi innocenti nelle mani dei macellai di Hamas.

 

 

 

Se ci pensate, da quella data sono passati appena 106 giorni, tre mesi e mezzo: eppure sembra trascorso un tempo molto più lungo. C’entra certamente la velocità inarrestabile dell’epoca in cui siamo immersi, che travolge ogni cosa, che sposta continuamente l’attenzione mediatica. Ma stavolta c’è qualcosa in più, c’è qualcosa che non torna: c’è un chiaro tentativo di far dimenticare quella tragedia.

Troppo chiara la responsabilità criminale di Hamas, troppo indifendibile la causa amata da tanti media, troppo difficile collocarsi in un’area di ambiguità. E allora meglio chiuderla subito: è stato perfino difficile far circolare le immagini delle culle insanguinate, dei corpicini dei bimbi israeliani massacrati dai terroristi. Molto più comodo – dal momento della reazione israeliana – concentrarsi sulle cronache dell’azione militare di Gerusalemme, e quindi virare sulle sofferenze di Gaza, sui bombardamenti. E ovviamente ci sono sia i bombardamenti che le sofferenze, non c’è dubbio: stiamo parlando di una guerra. Ma se tu hai preventivamente offuscato l’origine degli eventi, nonostante l’enormità nazi-islamista del 7 ottobre (di questo stiamo parlando), il gioco mediatico diventa molto più facile: parificare-equiparare-confondere tutto, e al massimo criticare le violenze “da entrambe le parti” (mettendo così sullo stesso piano Gerusalemme e Hamas).

 

 

 

E così vale tutto: si dà credito a ciò che comunica (sic) “l’ufficio stampa di Hamas”; si accetta come normale il fatto che Israele finisca davanti alla Corte dell’Aja; che l’Iran si occupi nientemeno che di “disarmo” in sede Onu proprio mentre tenta di accelerare il suo programma nucleare che sarebbe volto – nelle intenzioni degli ayatollah – a distruggere lo stato ebraico. Davanti a tutto questo, non avete letto né sentito molti appelli al rilascio degli ostaggi israeliani. Non avete letto né sentito condanne di Hamas che fossero prive di un “però”, di un “ma”, di una frasetta ipocrita all’insegna dell’equidistanza. E questo, se possibile, deve preoccuparci anche più dell’assalto vicentino di ieri.

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