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Catania, gli stupratori egiziani? No, ecco qual è il problema per le femministe

Daniele Dell'Orco
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La rivoluzione copernicana intorno al vomitevole stupro di gruppo di Catania consiste nella considerazione accessoria della nazionalità degli aguzzini (sette, tutti egiziani, alcuni minorenni) e del loro status giuridico. La sinistra a reti unificate accusa di strumentalizzazione, razzismo e xenofobia coloro i quali fanno notare che gli stupratori in questione in Italia non ci sarebbero dovuti nemmeno essere, ma pur avendo già mostrato la volontà di non rispettare la loro collocazione in comunità locali, stazionavano in zona a far danni perché minorenni non rimpatriabili.

Ma è la stessa sinistra che, dicendo di «non voler fare distinzioni» sull’origine dei violentatori, vuole evitare di riflettere su decenni di diffusione della cultura dell’accoglienza irresponsabile. E anzi, quando la bestia di turno è italiana è la prima a sottolinearlo, straparlando dell’Italia come Paese machista, patriarcale e misogino col fine ultimo di accusare il governo Meloni di qualche nefandezza qua e là.

 

 

 

PESI E MISURE

È davvero impossibile, ad esempio, non notare la disparità di trattamento dal punto di vista della copertura mediatica del caso di Catania rispetto a due violenze di gruppo avvenute nel luglio scorso, a Palermo (la notte del 7 luglio 2023: una ragazza di 19 anni venne abusata da un branco anch’esso composto da sette coetanei) e Caivano (il 24 luglio, a farne le spese furono due cuginette di 10 e 12 anni, violentate da un gruppo di sei ragazzini, di cui un solo maggiorenne). All’epoca, per giorni non si parlò d’altro, le città di tutta Italia furono invase da manifestazioni femministe e tutti gli italiani, maschi, bianchi ed eterosessuali vennero giudicati colpevoli, portatori sani del virus dello stupratore.

Stavolta, i grandi fogli nazionali relegano la notizia in quarto piano e la sinistra, che strumentalizza qualsiasi cosa, stavolta strumentalizza al grido di «no alle strumentalizzazioni». I giovani del Pd catanese hanno messo subito le mani avanti: «Ancora una violenza, ancora una vittima, ancora una donna. Verrà strumentalizzata la nazionalità degli stupratori, si dirà che “è capitato perché c’erano quelli”. Ma la verità è che gli stupri non hanno nazione e gli stupratori non hanno nazionalità». Secondo loro, invece, la responsabilità dell’aumento delle violenze, per qualche motivo misterioso, sarebbe legata al fatto che «il consultorio autogestito “Mi cuerpo es mio”, tra i pochi presidi antiviolenza presenti, è stato sgomberato».

Stessa lettura da parte delle attiviste di NonUnadiMeno, che gestivano il famoso consultorio nei locali occupati di un edificio di proprietà dell’Ente Biblioteche Riunite "Civica e A. Ursino Recupero" e che scesero in piazza sostenute da noti influencer di sinistra ai quali il ripristino della legalità quando si tratta di sottrarre spazi agli antagonisti non piace mai: «Si sta dando una lettura xenofoba che noi respingiamo, è solo un’altra forma di violenza - dice Lara Torrisi, attivista del nodo locale del collettivo femminista -. Non mi sembra ci si sia soffermati sull’italianità degli stupratori di Palermo». Non le sembra perché forse a luglio era al mare.
Ancora più esplicita la strategia dell’inquinamento dei pozzi dell’informazione da parte della senatrice dell’Alleanza Verdi e Sinistra, Ilaria Cucchi: «Ennesimo stupro ed ennesima strumentalizzazione etnica. Tutto questo è inaccettabile – dice in una nota -. Stuprano uomini figli di una cultura criminale che appartengono anche al nostro Paese. Il garantismo entra in campo solo per gli imputati eccellenti e, quando ciò accade, svilisce il valore della dignità delle donne che ne rimangono vittime. Pugno di ferro sempre e non solo quando fa comodo».

 

 

 

METRO COMUNE

Giusto, pugno di ferro, che per stessa ammissione del procuratore capo presso il Tribunale dei minorenni di Palermo, Claudia Caramanna, sarò possibile nel caso in questione grazie al “decreto Caivano”, proprio quello varato dal governo dopo lo stupro dell’estate scorsa: «Qualcosa sta cambiando - dice -, non c’è più quella sensazione di impunità per il fatto di essere minorenni: ora possiamo intervenire arrestando chi si macchia di crimini gravi». Appunto, a prescindere dalla nazionalità, dallo schieramento politico e dall’appartenenza ideologica. Soprattutto con un metro comune anche per ciò che riguarda altri campi d’applicazione del medesimo principio. Come, ad esempio, la gestione degli spazi pubblici, la giustizia e il contrasto all’immigrazione. 

 

 

 

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