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Casinò, il mistero delle slot machine dove non si vince mai

Andrea Valle
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A volte si vince. Altre si perde. In poco tempo possono andare in fumo anche 50mila euro. Ed è quello che è successo l’altra sera a un malcapitato giocatore. Ieri, imbufalito, ha chiamato Libero. Si è lamentato dell’ambiente che al Casinò di Ca’ Noghera, sulla terraferma veneziana, sarebbe particolarmente ipnotico. Le slot machine, oltre cinquecento, formano la plancia di una gigantesca astronave. Sembra di essere nel ventre della Uss Enterprise di Star Trek. Mancano il Capitano Kirk e il vulcaniano Spock, ma c’è chi giura di aver visto anche loro alla fine di certe nottate. Le luci, lampeggianti, verdi, gialle, rosse, viola, stordiscono. C’è la Double Diamond, la Night Life con tutti i cuori che pulsano sullo schermo. Gettonatissima la Dragon link. C’è anche la slot machine di Zorro, il vendicatore mascherato. Non c’è traccia però del Sergente Garcia, l’eterno perdente ma simpatico.

Il Casinò di Ca’ Noghera, il primo all’americana nato in Italia, è stato inaugurato nel 1999. Non è più il Veneto in cui il Pil volava come le mongolfiere, ma tra gli imprenditori del Nordest c’era ancora un discreto giro di schei, soldi non sempre puliti, “black” ma non jack. Nelle serate di fiacca ci pensavano i turisti tedeschi, inglesi, i primi russi col rublo pesante a rimpinguare il giro d’affari della casa da gioco. Chi non vinceva trovava comunque il modo di consolarsi. L’altra sera però il nostro sfortunato giocatore non ci ha pensato. Troppi anche per lui, che pure ne ha, 50mila euro nel tempo che va dalla cena all’ammazzacaffè. Anche i ricchi piangono.

 

 

«Com’è possibile, in decine di giocate, 20, 50, 100 euro al colpo», si lamenta, «non strappare mai neanche una piccola somma?». Domanda lecita. Non una volta che sia uscita una combinazione giusta. Ciliegie, campanelle, diamanti, angurie tutte spaiate. Al diavolo! Statisticamente è possibile, certo, ma significa che l’algoritmo che regola queste macchine diaboliche ha deciso di punirti con una certa severità. Ca’ Noghera è vicino all’aeroporto, ci si arriva in auto, e per gli avventurieri occasionali è molto più comodo rispetto allo storico Ca’ Vendramin Calergi, sfarzoso palazzo nel sestiere di Canareggio, sul Canal Grande, che ogni sera – sebbene non più come un tempo – attira la processione di barche di turisti, uomini eleganti che sfidano la sorte alla ruota che gira o alle slot. Lì, nel palazzo commissionato dai Loredan che diedero alla Serenissima tre dogi, morì Richard Wagner. Era un assolato pomeriggio di febbraio del 1883. Pare che stesse sopra o sotto una sua cameriera.

 

 

Anche Ca’ Noghera non vive i fasti del passato, e alcune recensioni sul web non perdonano: i croupier hanno perso quel modo romantico di attirare i clienti, e il banco non ha la classe che attirava facoltosi signori in abito che tra nuvole di fumo occhieggiavano le signore in lungo. Oggi è tutto un frastuono di musichette e suoni convulsi. Nel 2023, complessivamente, nelle due case da gioco sono stati vinti 217 milioni in jackpot. Il nostro non ha visto il becco di un quattrino. Vorrebbe andarne in fondo, dice. Sì, ma con quali prove se non la sfiga?

Il “random number generator”, c’è scritto nel documento del Servizio ispettivo comunale del Casinò di Venezia, assicura che «ogni giocata è completamente indipendente da quella precedente»; «L’R.N.G. è un algoritmo che viene svolto via software in ogni singola macchina»; «è buona norma che prima di qualsiasi intervento a una slot che ne comporti l’apertura o il “resettaggio” l’attendente dichiari ad alta voce crediti residui ed eventuali vincite in corso in modo da poter risolvere immediatamente qualsiasi controversia col cliente». L’altra sera nessuna controversia. Solo una jella indimostrabile.

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