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La mostra-gioco che insegna come si crea e si diffonde una teoria del complotto

Alessandro Dell'Orto
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All’uscita della mostra sul complottismo ci sono i veri complottisti che si sentono vittima di un complotto. Questa sì che è coerenza. Dicono che l’esposizione ha poco di filosofico e che loro non sono tutti matti e poi ti inondano di domande da pippe mentali tipo «Chi decide chi è complottista? Chi decide qual è la verità? E perché?». Da non crederci. Sembra una gag, ma è tutto vero e- come ad un esame universitario- la teoria che hai appena imparato, approfondito, capito nella mostra interattiva “Complottismo, fake news e altre trappole mentali”, si trasforma subito in realtà e ha le sembianze di due simpatiche pensionate, con tanto di volantini e cartelloni sulle spalle, che stazionano lì a protestare (pacificamente, e precisano che non hanno niente a che fare con dei no-vax che invece sono andati un po’ oltre le righe) dalla mattina alla sera.

È la conferma che l’esposizione organizzata nel Museo della Filosofia dell’Università degli Studi di Milano funziona, è intelligente e conquista sia gli studenti che i semplici visitatori, dando fastidio a chi si sente chiamato in causa. Anche perché l’argomento è intrigante e delicato allo stesso tempo. E tocca tutti: chi non ha un amico fissato con le teorie più strampalate, un parente negazionista, un vicino di casa - e poco importa che si parli di vaccini, guerra, astronomia, massimi poteri, Bill Gates, scie chimiche o finti morti - che fa dietrologia e vede del losco ovunque?

 

 

NELLA LORO MENTE - E allora, per capire quali sono i meccanismi cognitivi e sociali alla base della diffusione di teorie del complotto e fake-news, non c’è niente di meglio che provare a entrare nella testa dei complottisti, capire come pensano, come agiscono, come si muovono: è proprio quanto accade nelle due stanze allestite all’interno della Statale, dove ti prendono per mano e- attraverso pannelli illustrativi, audio, video, prove interattive - ti accompagnano in un percorso illuminante e divertente. «Nel 2018 abbiamo creato il Museo della Filosofia - raccontano Anna Ichino e Clotilde Calabi, le ideatrici dell’esposizione insieme a Paolo Spinicci- e ci siamo ispirate ai migliori musei della scienza: spazi fortemente dinamici e interattivi, in cui il pubblico possa avvicinarsi a importanti problemi e argomenti attraverso giochi, esperimenti e attività che li rendano intuitivi e appassionanti senza sacrificarne la complessità. Ora abbiamo voluto ampliare il progetto con due nuove sale dedicate alla filosofia della (dis)informazione. Abbiamo aperto lo scorso 5 febbraio e chiuderemo il 22: in media, tra scolaresche e semplici curiosi, stanno venendo 250 persone al giorno. Ad illustrare il percorso e spiegare i contenuti sono gli studenti: sono una trentina, la maggior parte dei quali iscritti alla triennale, e si alternano».

Già, ma cosa sono le fake news? «Storie messe in circolazione da soggetti che non hanno ragione di ritenerle fondate, eppure le presentano come provenienti da fonti accreditate e cercano di dar loro vasta diffusione con intenti che non hanno a che vedere con la corretta informazione - racconta il primo pannello dell’esposizione - Che cosa fa sì che le fake news ottengano così spesso la diffusione che cercano? La mostra risponde a questa domanda concentrandosi su una forma particolarmente insidiosa di fake news: quelle complottiste».

 

 

VINCONO I NERD - Pronti via, si parte nel viaggio all’interno della disinformazione, si approfondiscono i concetti principali, si passa dalla porta artistica di Fabrizio Dusi, si gioca con “La Cucina Complottista” (da tre barattoli diversi si prendono gli ingredienti di base: agenti, azioni e obbiettivi, che mescolati tra loro danno una teoria fatta e finita) e poi, tra pareri illustri e citazioni, si arriva al clou: il “Fake Plots!”, videogioco didattico che ti insegna a creare e diffondere teorie del complotto di successo («Entra in una “bolla complottista” e diventa anche tu un influencer della disinformazione!»). Iscrivendoti all’app “Glitter” (un finto Twitter creato appositamente), ciascun giocatore deve rilanciare una teoria complottista, seguendo le istruzioni che gli vengono date nel “Kit del complottista” che contiene carte colorate (sfiducia, bias cognitivi, fallacie argomentative, bisogni psicologici, strategie retoriche, risposte alle faq) pronte a ispirarti.

E così ci si sfida con commenti e provocazioni per creare e sostenere una teoria complottista, a partire da una notizia proposta dal gioco, e poi diffonderla: negli otto minuti di gioco con gli altri partecipanti l’algoritmo che governa il finto social attribuisce i punti a seconda dei like dati e ricevuti e a quanto la teoria viene diffusa. Alla fine appare la classifica che elegge il miglior complottista, però non pensiate sia facile: noi con l’username Libero siamo arrivati solo sesti su dieci alle spalle di tre universitari smanettoni con l’aspetto da nerd (i più bravi) e pure una mamma in coppia col figlioletto. Ma chissà quale punteggio stratosferico potrebbero raggiunto dei veri professionisti del complotto. Si, proprio come le due simpatiche pensionate all’uscita.

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