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Addio a Viale Majno, sede storico del quotidiano Libero

 Libero- Viale Majno 42

Un groppo di nostalgia e un nugolo di ricordi, per un edificio che ha fatto la storia del (nostro) giornalismo

Francesco Specchia
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«Ecco, la musica è finita/Gli amici se ne vanno/Che inutile serata, amore mio...».
Si può citare tutta la melanconia di Franco Califa no per descrivere l’ultima serata passata in una redazione vuota, spoglia dei suoi ticchettii da tastiera, delle sue affollate scrivanie, delle battute dei cronisti usciti dall’ennesima, incandescente giornata di lavoro? Certo che si può. Anzi, si deve. Il lungo addio della redazione di Libero alla oramai storica sede di viale Majno 42 inizia stasera. E finirà domani quando – nottetempo, come le puttane, i poeti e gli assassini - col nostro trasloco in via dell’Aprica 18 inizierà una nuova era. Il nostro quotidiano raggiungerà, all’Isola, zona di Milano in forte espansione, i cugini del Giornale; e da lì, in un unico “building” all’americana, con la benedizione degli editori Angelucci, proseguirà la nostra battaglia quotidiana.
Certo, evocare la canzone struggente e romantica del Califfo per sciogliere il ventennale rapporto con queste mura, può apparire un vezzo, un eccesso di autocitazionismo. Eppure, a vedere svitare le insegne, ammassarsi gli scatoloni, chiudere le finestre dell’amplia terrazza sul cuore di Milano, be’, la nostalgia fa capolino. Chi scrive ha vissuto quasi per intero l’emozione, l’eversione e la rivoluzione del quotidiano nel “periodo Majno” ; e ne ha vissuto, ancora prima, dal 2000 al 2004 la fondazione in via Merano, un’impresa nata letteralmente sotto un ponte ferroviario.
DIMORA DELL’ANIMA Una redazione giornalistica è più che un ufficio. È una dimora d’anima, nel senso che Xavier De Maistre attribuiva nel suo classico Viaggio intorno alla mia camera, laddove la vita e la fantasia scorrevano, a loop e a braccetto, nel cosmo immaginifico delle quattro mura.
In viale Majno ci sono passati tutti: ministri, imprenditori, artisti, forze dell’ordine, e delinquenti (un giorno l’indagato Massimo Ciancimino qui di passaggio come fonte, usò il termine «sezione catturandi»). Sono transitati presidenti del Consiglio e boiardi di Stati, cardinali e medaglie d’oro, stelle della tv e amministratori delegati di grandi partecipate. Si sono incrociate le troupe televisive per i collegamenti dai talk show, le soffiate delle nostre gole profonde e finanche gli amorazzi e i flirt con i vicini di scrivania, perché come osservava il nostro primo proto Giampiero Piazza «la bellezza è un fatto di abitudine, e con questi orari maledetti è naturale che tendenzialmente ti riproduci tra giornalisti...».
CERTE NOTTI... Questa redazione ha vissuto i grandi silenzi delle “lunghe” - le nottate di chiusura ormai anacronistiche a causa della velocità del web- e le ora torpide ora patibolari, ora scoppiettanti riunioni di redazione (tre volte al giorno, in un’eterna colluttazione con le notizie). Ha attraversato i cambi di direzione sempre nell’ombra del fondatore, Vittorio Feltri. Il diretùr entrato nella Treccani (come noi, la sua creatura) che c’era sempre anche quando non c’era; e magari qualche volta, da fuori, si augurava che il sogno finisse con lui ma in realtà ritornava sempre affettuosamente sul luogo del delitto. Libero, in viale Majno, è passato dagli attentati delle nuove Brigate Rosse sgominate da Ilda Boccassini alla desertificazione del Covid, dalla frequentazione assidua con le Procure – perlopiù in veste d’imputato agli assalti dei vari movimenti anarchici che si assiepavano a ondate sotto il nostro portone presidiato per anni dai carabinieri. Qui dentro è accaduta la qualunque: i gruppi d’ascolto per Sanremo e le partite di Champions; i furti dei libri, della cancelleria e delle assi del cesso; le riunioni sindacali quando la crisi dei giornali ci costrinse a tagliarci lo stipendio (non a tutti, però). Una sera, direttore Sandro Sallusti, un black out mandò in tilt il sistema editoriale; e il giornale uscì, eroicamente, in formato ciclostilato, in una copia che oggi probabilmente viene sopravvalutata al mercato nero dei giornali perduti. Adieu viale Majno, nostra galera e nostro paradiso. Si ricomincia altrove, con Mario Sechi. Sarà dura, ma – come ci ricorda il vecchio Barzini sino alla nausea - è sempre meglio che lavorare

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