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Smog, la causa collettiva: "36mila euro di risarcimento per ogni anno vissuto in una città inquinata"

Claudia Osmetti
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Forse è colpa di Erin Brockovich. Più di 50mila milanesi starebbero mostrando interesse per una “class action” contro lo sforamento dei livelli di inquinamento dell’aria. La città non è casuale, sono giorni che a Milano non si parla d’altro che di polveri sottili. La Pianura Padana nella morsa dello smog, la buona notizia è il cattivo tempo che dovrebbe cominciare da oggi e il ritornello, oramai, l’abbiamo imparato a memoria. Ma il punto è che qui si passa dai dati alle carte e pure alle carte bollate.

L’idea la lancia la società Consulcesi che ha aperto una campagna specifica a riguardo la quale si riassume pressapoco così: con un’azione collettiva e un risarcimento per danni. In soldoni, ché c’entrano soprattutto quelli, «se calcolassimo 99 euro al giorno sulla base delle tabelle di invalidità di Milano, dal 2008 al 2017 farebbero 36mila euro all’anno», lo dice l’avvocato Bruno Borin. E dice anche, Borin, che non sono solo i milanesi a pensarci, ma pure altri 250mila lombardi.

 

 

 

A Torino è più o meno lo stesso: a novembre dell’anno scorso, sempre Consulcesi, ha totalizzato oltre 15mila richieste di informazioni e 200 sottoscrizioni (per aderire formalmente all’iniziativa si devono pagare 350 euro). E poi c’è Brescia. E poi c’è Roma. E poi ci sono Prato, Taranto, Modena, Catania e Palermo. E poi ci sono anche i ricorsi dei singoli, come (siamo di nuovo a Milano) quello presentato un anno fa da un cittadino che sostiene d’essersi ammalato di «bronchite acuta, irritazione agli occhi e alla mucosa nasale» per colpa dell’inquinamento della Madonnina e, quindi, ha trascinato in tribunale Comune e Regione.

È la nuova frontiera del diritto, o almeno sembra. Di legali pronti a sporgere querela ne siamo pieni e non è nemmeno il caso di ricordare il processo che si aprirà in Piemonte, a giugno, contro gli ex sindaci e l’ex presidente della Regione accusati dalla procura di “inquinamento colposo”. Ma questi procedimenti che chance hanno di finire veramente con un indennizzo?

«In Italia non c’è una situazione normativa che permetta di ottenere un risarcimento per danno da inquinamento», spiega Stefano Poretti. Poretti è un avvocato di quelli che, in giudizio, è meglio tenersi stretti: è pacato, è preciso, conosce le procedure ma non parla come un codice stampato e si fa capire da tutti. Il suo studio (Poretti-Passalacqua) ha sede proprio a Milano.

 

 

 

«Le direttive Ue che impongono le soglie per la qualità dell’aria danno ai cittadini un diritto ad agire solo per chiedere che le istituzioni si adeguino a questi parametri. È stata la Corte di giustizia europea, recentemente, a dare indicazioni circa i risarcimenti: e la Corte di giustizia europea ha detto che non si possono ottenere risarcimenti individuali dalle autorità nazionali o locali qualora questi criteri vengano sforati». La sentenza a cui Poretti si riferisce è del dicembre 2022.

Ci sono altre precisazioni: anzitutto le “class action” che tanto piacciono alla narrazione mediatica in realtà, da noi, non esistono. Sono un’invenzione americana: nelle azioni collettive italiane, che pur si basano sul presupposto di raggruppare più soggetti in un unico procedimento, si prosegue individualmente in caso di indennizzo. In seconda battuta: «Un discorso diverso vale per il settore privato, che invece è più normato». E infine: «Non esistono, al momento, parametri definiti che permettano di calcolare precisi importi da richiedere, anche perché sono tantissimi i valori che entrano in gioco».

 

 

 

Verissimo. Senza contare che processi del genere (ed eventuali risarcimenti) paralizzerebbero le istituzioni svuotando loro le casse nell’arco di pochissimo. Una mano ai futuri querelanti anti-smog potrebbe arrivare proprio da Bruxelles dove, giusto ieri, l’Europarlamento e il Consiglio Ue hanno trovato l’accordo per una nuova direttiva sulla qualità dell’aria che prevederebbe anche la possibilità per i cittadini di intentare ricorso qualora l’amministrazione pubblica non faccia rispettare i limiti imposti sull’inquinamento. Ma siamo ancora nel campo delle ipotesi perché prima serve l’approvazione formale del documento, poi la sua pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell’Ue e dopo ancora i Paesi membri avranno due anni di tempo per applicarla. Quindi, se va bene, se ne riparla nel 2027.

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