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Smartphone, raffica di furti con riscatto: "Paga e lo riavrai"

Claudia Osmetti
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Ce l’abbiamo tutti in tasca. Il telefonino, santo telefonino, che ormai le linee fisse non sappiamo più cosa siano e le cabine con la tessera a pagamento idem. Ci abbiamo messo la qualunque dentro (foto, documenti, email) e quando lo perdiamo, oppure ce lo rubano, son dolori. E infatti sono la nuova frontiera della micro-criminalità: gli “scippi” di smartphone, però con l’estorsione al seguito. Prima te lo rubano, il cellulare, poi te lo rivendono per qualche centinaia di euro, magari meno, e allora tu che fai? L’alternativa è una: o paghi e te lo riprendi (coi messaggi salvati dell’amante o della moglie, coi selfie di quando i bimbi erano piccoli, con la cronologia delle comunicazioni dell’ufficio) o vai al megastore e te ne compri uno nuovo, epperò paghi lo stesso (pure di più) e i file in memoria adiós.

ESTORSIONE
È successo a Chiari, in provincia di Brescia, l’altro ieri: due ragazzi bergamaschi di 21 e diciannove anni sono stati arrestati in flagranza di reato per furto aggravato e (appunto) tentata estorsione, perché avevano messo gli occhi, ma soprattutto le mani, sul telefonino di un 23enne di origini kosovare che era in discoteca e, a un certo punto s’è accorto di non avere più il cellulare. Il giorno dopo i due l’hanno contattato (dopotutto se ti prendono il telefono ti prendono anche le informazioni che ci hai caricato su e un modo per telefonarti, al contatto “mamma” o con un messaggio sulla posta elettronica che hai associato al dispositivo, lo trovano) e gli hanno chiesto cento euro. Il kosovaro, anziché metter mano al portafoglio, si è presentato al comando dei carabinieri e gli agenti hanno fatto il resto, cioè hanno rintracciato i due delinquentelli (che son stati già processati per direttissima), ma storie come questa ne accadono ogni giorno e in ogni parte del Paese. Due ucraini arrestati la settimana scorsa a Roma, dopo il solito trucchetto ai danni di una ragazzina che ha provato a telefonare al numero della propria utenza e si è sentita dire: Ti-ridiamo-il-telefono-per-cinquanta-euro. Un tunisino di 28 anni finito in manette a Firenze, a fine febbraio, a seguito dello stesso raggiro, lui aveva un po’ alzato la posta, di euro ne aveva chiesti 150, solo che allo scambio anziché la sua vittima è andato un poliziotto. Due trentenni (lui marocchino, lei italiana) arrestati dall’Arma di Montoggio, Genova, a metà gennaio, perché prima avevano rapinato un ragazzo di 23enni, poi si sono messi in contatto con sua madre («Se mi dai 230 euro ti riporto lo smartphone di tuo figlio») e alla fine sono stati presi dalle forze dell’ordine. Ma casi analoghi, negli ultimi mesi, se ne sono registrati a Padova, a Rimini, a Modena.

 



CAVALLO DI RITORNO
È un po’ il “cavallo di ritorno”, come succede per le macchine, però adesso vale per quegli aggeggi iper-tecnologici che ci portiamo appresso ovunque. Primo, sono molto più facili da rubare. Alle volte basta una svista o un pizzico di sfortuna. Secondo, sono molto più facili anche da (ri)vendere al legittimo proprietario. Terzo, sono beni altrettanto importanti che l’auto di famiglia. Senza la rubrica, l’app di Facebook, quella della banca (col codice di sicurezza, grazie al cielo) e lo Spid ci sentiamo persi. In Italia, mediamente, viene rubato o smarrito più di un milione di smartphone ogni anno, e quasi la metà (il 45 per cento) appartiene a giovani con meno di 24 anni: e come glielo dici, al babbo, che ti servono 500 euro per comprarti il telefonino nuovo? Se te ne domandano un quinto per riavere il tuo, tutto sommato, può darsi che te la cavi con la paghetta mensile. Secondo la Fcc, la Commissione federale sulle comunicazioni degli Usa, nel mondo occidentale nove persone su dieci, appena si accorgono di non avere il proprio telefonino, fanno di tutto per recuperalo. E una su due è disposta a sborsare fino a 500 dollari (poco meno di 460 euro) per rimetterlo in carica sul comodino di casa.

 

 

 

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