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Per Repubblica le buche nell'asfalto sono un vezzo letterario

Francesco Specchia
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 Suvvia, che cos’è l’asfalto, in fondo, se non la corteccia della nostra civiltà? «Sul manto stradale porto lo sguardo/ per casuale motivo/ poi sul pietrisco lo vedo accasciato/ e nulla si muove/ nulla e respiro». Cosa c’entra l’arte poetica di Valerio Mello nella sua lirica Asfalto, con le buche di Roma e Milano? Nulla, tendenzialmente nulla (a parte, forse, una sbiadita traccia di bitume ai margini delle carreggiate e dell’anima stessa dello scrittore. E, sottolineo, forse).

Eppure, basta citare Mello, l’artista che accomuna il bitume al timbro pensoso della vita umana– e magari basta aggiungerci, per tirarsela un po’, La guancia sull’asfalto del collega lirico Guido Oldani, o L’odore dell’asfalto di Gianluca Veltri, o Giungla d’asfalsicuramente fondamentale per il mondo e a me sconosciuto, ma io non conto perché sono rimasto a Pippo Franco. Però, in compenso, mi viene in mente Ugo Tognazzi sul sidecar col dissidente antifascista ne Il federale: «Buca. Buca. Buca con acqua...!».
Ecco. Uno legge Belpoliti e, sicuramente si chiede quanto la posa sbagliata dell’asfalto, quanto quella sua diffidente liscezza e quel suo vigliacco fluire, possa incidere sull’ecostenibiltà ambientale, o sul nostro equilibrio psicofisico, o sul nostro stesso essere cristiani. O, per dire, sul destino del sindaco di Milano Beppe Sala che prima di andare a dormire, invece delle pecorelle conta le buche della sua città e “son 300” giovani e forti (giusto per citare La spigolatrice di Sapri, un posto pieno di buche da combattimento). Su tutto, in pratica (forse esagero). La vera verità è che sul manto logorato dell’asfalto si logorano anche le nostre più recondite convinzioni ambientaliste.

Scrive sempre Belpoliti, nella sua prosa accorata e ipnotica, che l’asfalto «è una sostanza stregata e ben poco valutata, anzi detestata, tanto che in Usa, dove si producono oltre 572 milioni di tonnellate di asfalto l’anno, si pratica il depaving: il taglio e l’asportazione di superfici ricoperte dal bitume da parte di gruppi di ecologisti. L’usura del catrame misto a sassi è inesorabile: si crepa, si deteriora, si logora, si spacca, si sbriciola. Costa parecchio perché una buca, una volta prodottasi, non si riesce a sistemarla definitivamente, e perciò riparare significa riasfaltare per intero la strada». E qua, al depaving –pratica su cui professiamo la nostra totale ignoranza- emerge, in tutta la sua prepotenza, la vera denuncia sociale unita alla voglia di dare un contributo al dibattito pubblico sul carattere bituminoso delle realtà. E la denuncia sociale si arrampica su vette filosofiche che mai avresti detto. Badilate di cultura.

«Verament me g’ho capii nient...», veramente, di tutto questo, io «non ci ho capito una mazza», mi fa notare il mio meccanico, che commenta dalle profondità dell’hinterland milanese. Gli faccio la parafrasi del testo di Belpoliti e spiego: scusi, sa, ma questa è una denuncia delle buche nell’asfalto, e della decadenza del mondo. E lui mi fa: «Mi scusi, io della decadenza del mondo non so, ma le buche si coprono, di solito con l’asfalto; e se non ce l’avessimo, l’asfalto, ci sarebbe lo sterrato che forse non è mica poetico, ma poi con lo sterrato si scassano i cerchioni e i semiassi...». I cerchioni e i semiassi.

Io guardo lui e capisco che non ha percepito l’ebrezza letteraria di Belpoliti; lui guarda me e intuisco che non gliene può fregare di meno. «Non sono cosa sia st’ ebrezza letteraria, ma so minga se ci ripari le strade...». Alchè, con supponenza, gli allungo il capolavoro di Benjamin, L’opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica; lui lo prende e, per ricambiare, mi allunga il libretto d’istruzioni delle mia 500 con un approfondimento sul carburatore. Il meccanico sorride. Ci sono più cose nei cieli di un motore endotermico, caro Belpoliti, di quanto ne possa sognare la tua filosofia...

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