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25 aprile, cari compagni uscite dalla bolla: gli italiani vanno in montagna per il ponte, non per i fascisti

Daniele Capezzone
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Potremmo sintetizzare la faccenda con un’esortazione («compagni, uscite dalla bolla») o con una constatazione più scanzonata e sorridente («agriturismo batte antifascismo»). Ma la sostanza – per chiunque guardi le cose senza pregiudizi e senza lenti ideologiche – è fin troppo chiara: mentre appunto la bolla politico-mediatica, la bubble, è calda-rovente-sovreccitata per la mobilitazione contro il fascismo (inesistente), una larghissima maggioranza di italiani è assolutamente fredda sul tema, anzi sta proprio da un’altra parte, sia con la mente che con il corpo.

Ieri Libero, in un pezzo essenziale e documentato di Salvatore Dama, vi ha trasmesso le cifre: nonostante il meteo incerto e in qualche caso ancora invernale, ben 16 milioni di italiani si sono già spostati da casa o stanno per farlo da ieri al 1° maggio, o almeno si stanno ritagliando una finestra di svago e vacanza durante quest’arco temporale. Denaro stanziato per il viaggetto: ben 5,5 miliardi, che potrebbero salire a 6 se nelle prossime ore il meteo desse segnali di miglioramento. Nel caso, i vacanzieri potrebbero schizzare da 16 a 20 milioni. Rispetto all’anno scorso, aumenta chi si allontana dalla propria regione di provenienza, e aumentano pure i giorni di vacanza.

 

 

 

VAI COL TROLLEY

Per quel poco che vale, recandomi ieri a piedi al lavoro a Milano, gran parte delle persone incontrate aveva un inequivocabile trolley in mano o uno zaino sulle spalle, e molte tra quelle che mi hanno fermato mi hanno parlato esattamente di quello, cioè della loro meta vacanziera. Non della minaccia autoritaria prossima ventura, non del monologo di Scurati, e nemmeno – avviso ai naviganti – delle Europee di giugno. Morale: non voglio trarre conclusioni rozze e affrettate, ma a me pare che ci sia un distacco, una mancanza di collegamento tra l’Italia “ufficiale” che si accapiglia in tv e sui giornali, con il “tono” della discussione fissato dagli intellettuali di sinistra, e, dall’altro lato, un’Italia “reale” che quelle voci nemmeno le ascolta più, e le vive – al massimo – come un rumore di fondo, come una specie di musica di ambiente (non di rado fastidiosa), come un sinedrio di soggetti stravaganti che parlano di cose lontane, in tutti i sensi.

A scaldarsi – forse – sono le curve più politicizzate e già schierate, che effettivamente sentono subito il clima da derby politico. Ma, per restare alla metafora dello stadio, le tribune sono piene solo in parte, e soprattutto l’arena non è un catino ribollente, ma uno spazio sempre più ristretto e in qualche caso perfino laterale rispetto a preoccupazioni dei cittadini che stanno altrove, e che talora non solo non vengono affrontate ma nemmeno intercettate dai radar della politica e della grande informazione.

Naturalmente non sto invitando leader e osservatori a distrarsi rispetto all’oggetto delle loro attuali discussioni. Ma occorrerebbe anche uno sguardo più ampio e più lungo, per non essere presi di sorpresa da ciò che invece si potrebbe già agevolmente scorgere. Basterebbe un poco di attenzione, in fondo. Primo: che senso ha descrivere un paese come sull’orlo del baratro autoritario quando una quota così grande di connazionali non si sta recando in montagna per la resistenza ma – appunto – sta organizzando il ponte di primavera? Secondo: che senso ha descrivere un’economia allo sfascio se poi, pur a fronte di mille problemi e fragilità, esistono anche segnali – in qualche misura – di fiducia e di accettabile benessere? In questo senso, saggezza suggerirebbe al governo di percorrere con più decisione la via delle riduzioni fiscali proprio per rilanciare i consumi interni, e alle opposizioni di non abbandonarsi a un racconto cupo e sistematicamente a tinte fosche.

 

 

 

NUMERI ALLA MANO

Dopo di che, a sinistra, farebbero bene a leggere con un minimo di attenzione i sondaggi commissionati dai loro stessi giornali d’area. Ieri Repubblica ha valorizzato una rilevazione di Antonio Noto da cui si desume che il 72% degli italiani non ha problemi a dichiararsi antifascista (non è disposto a farlo appena il 13%); il 59% dei nostri connazionali non teme affatto che il fascismo possa tornare (ha questa teorica preoccupazione solo 1 italiano su 4); e pure il 62% degli elettori di Fratelli d’Italia (per Rep i maggiori indiziati, come se chi ha votato Giorgia Meloni nel 2022 fosse sospettabile di simpatie mussoliniane) si definisce “antifascista”. E allora, la domanda nasce spontanea: gentili intellettuali, estensori di monologhi più o meno a tassametro o a gettone, partigiani e party-giani assortiti, resistenti con ottant’anni di ritardo, volete – di grazia – dirci di cosa ci state parlando da una settimana? L’“emergenza” che ci descrivete dall’alba a notte fonda, non di rado con toni apocalittici, molto semplicemente non esiste. Uscite dalla bolla (se potete).

 

 

 

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