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La polizia finalmente arresta il re dello spaccio, ma 24 ore dopo è già libero

Simona Bertuzzi
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Indagine -arresto -rilascio -sconcerto. Solo le parole magiche con cui dovete leggere la storia che stiamo per raccontare. E che inizia nel quartiere dei parchi Candia e Nervesa, zona sud di Milano, poco distante dalle vie Longanesi, Nervesa e Scheiwiller. I residenti qualche settimana fa si rivolgono alla polizia di Stato del commissariato Mecenate. Sono preoccupati per il via vai di tossici nelle aree gioco dei bambini e in prossimità dell’asilo di via Colletta. Documentano la situazione di degrado e criminalità con foto e testimonianze. Raccontano di un pusher straniero sulla trentina che si aggira nelle stradine ordinate del Candia con i capelli rasati e il telefonino in mano, è ben vestito, potrebbe sembrare uno studente fuori corso. Invece è uno spacciatore senza scrupoli e ha messo in piedi un traffico di stupefacenti degno di un film americano. “Vediamo il via vai continuo... la roba che passa di mano in mano”. Per terra, vicino all’altalena e allo scivolo dei bambini, si trovano alla mattina siringhe usate, sembrano i tempi delle anime perse di Rogoredo. Le mamme allarmate smettono di farci andare i piccini. Mentre il bagno pubblico diventa una specie di stanza del buco, camuffato da arredo urbano, dove i tossici entrano nervosi e svelti ed escono come zombie mezzi fatti. Qualcuno si nasconde tra le siepi, fa le sue cose lontano da occhi discreti, poi si ricompone e se ne va. La situazione è a tal punto preoccupante che l’amministrazione, per la prima volta da tempo immemore, si vede costretta a mettere i sigilli al wc per ragioni di ordine pubblico. Intanto sui tavoli del commissariato Mecenate si forma un piccolo dossier. L’attività di indagine è incessante e scrupolosissima.


E il presidio del territorio anche. Gli agenti delle volanti monitorano il quartiere. Collaborano con i residenti. Fermano una prima volta il ragazzo, “prego, documenti”, lo controllano. Il marocchino irregolare e senza fissa dimora è scaltro e si fa trovare pulito. Lo fermano di nuovo, idem come sopra. Nulla addosso che possa dare seguito a quelle segnalazioni e al senso di spaesamento che prova il quartiere alle prese con quella minaccia costante e bislunga che si muove silenziosa, maglietta grigia pantalone grigio, l’aria di chi conosce bene il fatto suo e sa di potersi far beffa di noi altri. I poliziotti non si arrendono però, vanno avanti. Uno-due-tre controlli. Un’attività sottotraccia che rincuora chi scrive e i cittadini esasperati.
Giovedì la svolta vera: la volante becca il giovane e lo ferma. Addosso gli trovano 20 dosi tra eroina e cocaina, dal valore di centinaia di euro e 390 euro in banconote di piccolo taglio. L’uomo al momento del fermo prova però a fare il furbetto. Dice agli agenti che è droga per uso personale. I poliziotti non gli credono e lo perquisiscono. E gli scovano addosso le bustine di cellophane elettrosaldate contenenti molti grammi di sostanze stupefacenti.

Finalmente la ruota gira a favore dei buoni e della legge. Squilla il cellulare del ragazzo. Sono i clienti che ordinano la loro dose quotidiana. «Fra ci sei?». E poi comincia il linguaggio in codice: «Alla Conad mi porti una di latte e una di caffe?». Tradotto per chi non è del giro: una dose di cocaina e una di eroina da consegnare al supermercatino di zona. Il quartierino del nordafricano è ampio. La clientela anche. Tutti a chiedere la bustina del giorno dallo stesso pusher nordafricano. Tutti a rifornirsi da lui che ha messo in piedi un servizio niente male ed ormai è diventato il terrore della zona. Fino all’arresto appunto.


In una situazione normale ci si aspetterebbe un plauso infinito alla polizia che, coadiuvata dai residenti, ha messo a segno un colpo importante. Invece non si fa in tempo a festeggiare l’arresto che subito arriva la doccia fredda, il gran finale rovinato. Il marocchino irregolare e senza tetto ieri è stato rilasciato dal magistrato di turno perché incensurato. C’è caso che chi passi da quella zona lo trovi anche stasera sulla panchina del parco, pronto a rispondere alla chiamata del cliente e alla richiesta della dose quotidiana. «Ma non potevano almeno dargli l’obbligo di firma per controllarlo?» si domandano nel quartiere da che si è saputa la notizia del rilascio. Qualcuno fa spallucce: «Siamo all’apoteosi: fotografato, controllato, trovato con 20 dosi addosso e il telefono bollente di richieste. Ma è già libero di tornare sulla strada e riprendere probabilmente l’attività».


Dice Pietro Giorgio Celestino, già assessore del municipio di zona: «Siamo soddisfatti dell’arresto e desidero congratularmi con gli agenti del comando di via Mecenate che hanno dato il via all’indagine sottotraccia dopo le numerose lamentele. E che molto spesso indagano, ci proteggono e svolgono i loro compiti senza che i cittadini ne vengano a conoscenza».
Poi però arriva la decisione del magistrato che ovviamente segue scrupolosamente la legge e la legge ha le maglie larghe e non tiene conto dell’allarme generale, dell’incazzatura delle famiglie, della rabbia del cittadino semplice nel ritrovarsi a camminare fianco a fianco con lo spacciatore di morte. «Il rilascio del malvivente» dice Celestino, «è sintomo che il minuzioso lavoro degli agenti è solo una parte del processo di contrasto al fenomeno dello spaccio. Spesso le stesse autorità giudiziarie hanno le mani legate nel procedere penalmente verso soggetti incensurati». Tutto comprensibile a rigor di codice. Ma qualcuno ha idea della rabbia che attanaglia un cittadino normale che assiste a una cosa del genere? Qualcuno ha un’idea del sentimento che prevarrà stasera nelle mamme coraggiose che hanno denunciato la situazione convinte che la giustizia trionfasse? La droga a un passo dalle altalene. Ma chi la spaccia è già fuori.

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