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Roma, città fuori controllo: 18enni stuprate in casa, chi hanno arrestato

Claudia Osmetti
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Abbordate. Fatte ubriacare. E poi abusate. Pure ripetutamente. Quella che doveva essere una gita a Roma, sotto il caldo di fine luglio, s’è trasformata nell’incubo più agghiacciante per due ragazzine: entrambe laziali, diciotto anni la prima, diciannove la seconda, una delle due persino con un problema di salute. Borghesiana, che è quel quartiere della periferia est della Capitale, nell’Agro romano, giusto sotto Tor Bella Monaca.

Mercoledì 30 luglio scorso, cioè quattro giorni fa. Le giovani sono arrivate in città da pochissimo, forse neanche da un dì: sono partite rispettivamente da Palombara Sabina (nell’hinterland metropolitano) e da Civita Castellana (in provincia di Viterbo), due paesotti con poco più di 10mila abitanti l’uno. Magari l’han fatto per evadere, dopotutto è estate: la stagione dello svago. O magari, semplicemente, per fare qualcosa di diverso. Di sicuro l’hanno fatto per incontrare un loro amico, uno di quelli conosciuti in chat: è che sono cambiati i tempi e oramai è normale. Infatti lo vedono, questo ragazzo con cui chissà da quando si mandano messaggini, e trascorrono almeno ventiquattr’ore a casa sua. Senza però che succeda nulla. Va tutto bene, è tutto tranquillo. Si sentono al sicuro. I guai iniziano subito dopo, quando lasciano la sua abitazione.

 

 

 

 

COME È INIZIATA

È sera. Sono fuori, per strada. Stanno passeggiando. Un uomo le nota, lancia loro qualche ammiccamento. È più grande ed è straniero: si chiama Andrei Stefan M., ha 26 anni ed è nato in Romania. Si mettono a parlare, probabilmente all’inizio lui sembra innocuo, simpatico. Una chiacchiera, qualche risata, un drink in un locale. Comincia così. Dopo un po’ l’invito a salire nell’appartamento al terzo piano di una palazzina in via Torregrotta (la fermata della metro è lì a un centinaio di metri) arriva quasi per scherzo. Quella è l’abitazione del rumeno. Su, le bibite costano di meno e si sta più appartati. Vai a sapere cosa pensano. Fatto sta che le due ragazzine si fanno convincere. Poco dopo bussano alla porta e arriva un uomo (Adriatik V., 47enne, anche lui straniero ma albanese): a chiamarlo è stato chiaramente Andrei, e ancora non sta succedendo nulla. Stanno solo bevendo. Di nuovo. Tanto. Troppo. E all’improvviso i due uomini allungano le mani.

Secondo le ricostruzioni degli inquirenti è il rumeno che tenta il primo approccio nei confronti della 19enne: lei oppone resistenza, ma l’alcool ne limita i movimenti. L’irreparabile. L’orrore che una donna non dovrebbe provare mai, pure con le difese abbassate, pure in quelle condizioni, pure con l’inganno. La violenza, fisica, brutale, sia da parte del rumeno che dell’albanese, perché adesso ci si mette anche lui, che si fionda sulla più piccina: e sembrano che non vogliono smettere, che le tengono ferme, contro la loro volontà, contro la decenza, in quella stanza lontana da tutti, chiuse dentro, senza potersi muovere. È solo approfittando di un attimo di distrazione di questi due aguzzini in una sera romana di piena estate che le ragazze riescono a fare l’unica cosa che può salvarle: chiamare il 112. Da quel momento all’attimo in cui per tutta Borghesiana risuonano le sirene delle pattuglie della polizia è questione di pochissimo.

Ci sono le luci blu intermittenti dei soccorsi medici con l’ambulanza e ci sono quelle dei militari che irrompono in casa, arrestano, sul posto, il rumeno 26enne. Il complice, tuttavia, l’albanese con quasi il doppio della sua età, è già riuscito a dileguarsi. E mentre le ragazze vengono portate al pronto soccorso del policlinico Casilino (struttura nella quale i medici non possono che confermare gli abusi subìti e denunciati e, di conseguenza, attivare le procedure di quello che in gergo è il “protocollo rosa”, ossia quello che integra tutte le modalità necessarie per aiutare chi è vittima di stupro), gli agenti del VI distretto del Casilino, coordinati dai magistrati del pool antiviolenza della procura della repubblica, si mettono sulle tracce di Adriatik. Ciò che ha fatto è troppo grave, troppo inenarrabile per aspettare anche solo mezzo minuto. Figuriamoci l’alba del giorno dopo.

CACCIA ALL’UOMO

L’intero territorio tra Borghesiana e Casilino passa sotto setaccio. È caccia all’uomo. Le volanti della polizia perlustrano ogni anfratto, ogni via, ogni possibile rifugio della fortuna nel raggio di chilometri.
Dura nove ore questa ricerca, incessante. Ma alla fine va a buon esito. Finisce dentro un container in un deposito di automezzi. L’albanese è lì, ha con sé addirittura la valigia pronta, l’intento è palese: vuole scappare. Sfuggire all’estero. Darsela a gambe levate. Gli va male, però. Ora dovrà vedersela con la giustizia.

 

 

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