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Fabio Ghioni, ex capo del Tiger Team: "Spioni, molte richieste arrivano dalle istituzioni"

Simone Di Meo
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«C'è una montagna di cadaveri sepolti in giardino che, dopo decenni, hanno iniziato a puzzare. Qualcuno prima o poi inizierà a guardare che cosa c’è lì sotto e quello che verrà fuori, se riescono a scavare bene, è inimmaginabile». Fabio Ghioni è stato il capo del Tiger Team, la squadra di hacker travolta dall’inchiesta Telecom Sismi del 2006 sulle intercettazioni abusive e sui dossieraggi insieme a Giuliano Tavaroli e Marco Mancini: è oggi un esperto tra i più quotati in Italia sulla sicurezza informatica.

La sua allegoria sullo scandalo dossier è fin troppo chiara. Non credo lei sia sorpreso...
«Perché dovrei? Queste operazioni si fanno da sempre. Il tema, semmai, è un altro: con la scusa del contrasto all’evasione fiscale sono stati schedati 60 milioni di cittadini. E questi patrimoni informativi sono stati messi a disposizione di gente in preda a curiosità morbose, interessi, bisogni finanziari...».

 

 

 

Dovrebbero essere più controllati questi maxi archivi?
«Praticamente si tratta di datebase a cui può accedere chiunque abbia una professione coerente con il tipo di ricerca effettuata. Parlo per esperienza personale».

Cioè?
«Negli ultimi tre anni, ho conosciuto due ragazze che, lavorando nello studio di un commercialista, avevano libero accesso alla banca dati dell'Agenzia delle entrate. E sa che cosa mi dicevano? “Guarda che se c’è qualcuno che vuoi monitorare, dicci pure: dal nostro piccolo bunker possiamo vedere tutto”. Capito come siamo messi?».

Potrebbe essere solo un caso di mitomania...
«Appena arrivato in Telecom, hanno iniziato a chiamarmi tutti...».

Per domandarle che cosa?
«Mi chiedevano di poter fare un controllo su un numero, di verificare la posizione di un altro. Io, essendo in corporate, non avevo accesso diretto ai sistemi. Ma quelli insistevano: “Sollecita un tuo collaboratore, fammi questo favore”. Allucinante».

Ma loro chi sono?
«Queste istanze arrivavano per lo più da uffici istituzionali, parlo quindi di tribunali e polizia giudiziaria. Io non mi prestavo, ma c'è stato sicuramente chi l'ha fatto».

Il nostro giornale ha pubblicato recentemente un’inchiesta sul mercato dei dossier: a Napoli è possibile pagare una notizia riservata, su un qualsiasi conto corrente, 190 euro. In pratica, il prezzo di un biglietto per vedere la partita in tribuna...
«Non mi stupisce il prezzo e credo che i 190 euro fossero solo la tariffa base del servizio. Moltiplica 190 euro per una ventina di accessi al mese e ti trovi con un triplo stipendio che ti aiuta a portare avanti la famiglia, a pagare il mutuo, a fare la vacanza...».

È tutta una questione di corruzione, quindi?
«Chi accede a una notizia riservata ha sempre o quasi sempre qualcosa da guadagnarci a usarla, fosse pure per la riunione di condominio. Le informazioni sono potere. E il mercato delle informazioni è il più florido al mondo».

Si potrebbe prevedere l'uso del Nos (nulla osta sicurezza) per gli addetti a queste archivi?
«Non è affatto sufficiente, figuriamoci. Il Nos è una pura formalità. Per arginare queste gigantesche fughe di notizie serve l'intelligenza artificiale».

 

 

 

Usata come?
«Partiamo dal fatto che un algoritmo non paga il mutuo, non subisce il fascino del lusso e non ha obblighi economici. E quindi è totalmente indifferente alle tentazioni. Il sistema che immagino io vede l'intelligenza artificiale elaborare le informazioni riservate secondo specifiche richieste debitamente autorizzate. Fuori da questo perimetro, non solo le notizie non verrebbero fornite ma partirebbero anche degli alert riguardo al tipo di interrogazione e, soprattutto, al soggetto interessato».

Crede al ruolo dei servizi segreti deviati in questi scandali?
«I servizi segreti vanno a caccia di notizie. È il loro lavoro. Qualsiasi agenzia di intelligence se ha bisogno di informazioni, paga e se le fa dare. Ma la vera questione è l'utilità effettiva di queste gigantesche raccolte dati: davvero per scovare venti evasori bisogna schedare un'intera nazione?». 

 

 

 

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