Garlasco, il ruolo delle mamme di Chiara, Stasi e Sempio

Rita ha visto la figlia trucidata, Elisabetta il figlio condannato, Daniela il suo ragazzo messo sotto accusa, Vivono nello stesso piccolo paese, quello del delitto. E i loro destini si sono tragicamente incrociati
di Alessandro Dell'Ortolunedì 26 maggio 2025
Garlasco, il ruolo delle mamme di Chiara, Stasi  e Sempio
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Nel tragico, complesso, controverso delitto di Garlasco ci sono tre persone che soffrono - inevitabilmente più di tutti, anche se travolte dalla tragedia in modi differenti e con tormenti diversi, imparagonabili tra loro. Sono Rita Preda, Elisabetta Ligabò e Daniela Ferrari, le mamme di Chiara, Alberto e Andrea. I loro figli - la vittima, il condannato e l’attuale indagato sono i protagonisti della drammatica vicenda che il 13 agosto 2007 ha stravolto le tre famiglie stritolandole di dolore, rabbia, paure; ma loro, le tre mamme, non hanno mai ceduto.

Hanno sempre, rispettivamente, difeso il ricordo di Chiara, urlato l’innocenza di Alberto, protetto Andrea pur risultando a volte incomprese, sembrando sfrontate, facendo anche qualche goffo errore. Tutto ciò che hanno fatto in questi anni, però - quasi sempre sotto traccia ed esponendosi pochissimo - l’hanno fatto con un amore incondizionato, indissolubile e vero, come solo le madri possono e sanno fare.

Rosa Preda, la mamma di Chiara Poggi, ha dimostrato fin da subito una forza non indifferente quando, a 255 giorni dall’uccisione di sua figlia trovata trucidata in casa - ha deciso, d’accordo con il marito, di restare a vivere nella stessa villetta di via Pascoli «perché qui c’è Chiara e non potevamo abbandonarla. Non abbiamo mai pensato nemmeno un minuto di trasferirci», ha spiegato poco tempo fa.

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Assediata dai fotografi e dalle telecamere per anni, ha sempre tenuto un profilo basso, composto, chiedendo rispetto per la propria famiglia (l’altro figlio, Marco, si è trasferito a Mestre) e per il ricordo di Chiara vivendo il dolore in maniera composta, quasi intima. Pur senza mai nascondere le proprie convinzioni durante tutte le fasi del processo, però: secondo lei l’assassino di sua figlia è Alberto Stasi, l’allora fidanzato, giudicato colpevole nel 2015 in via definitiva a 16 anni di carcere. L’ha ripetuto dopo le prime assoluzioni («Non cambio idea, è stato lui»), dopo la condanna, quando poco fa gli è stata concessa la semilibertà («Proviamo solo, ancora una volta, tanta amarezza. Speriamo solo di non incontrarlo mai») e soprattutto oggi, con il caso riaperto dalle nuove indagini che mettono sotto accusa Andrea Sempio.

CONVINZIONI E CHIUSURE

«La verità sull’omicidio è già scritta. Queste nuove ipotesi investigative sono stravaganti. Siamo ancora una volta basiti. Il condannato è Alberto Stasi. E lo è in via definitiva», ha chiarito Rosa Preda con fermezza - e pure un pizzico di stizza- nelle ultime settimane, evidenziando una determinazione che non tutti hanno capito. E suscitando anche qualche perplessità: ma come - si sono chiesti in molti - la famiglia di una ragazza uccisa non dovrebbe solo sperare nella verità, qualunque essa sia? La mamma di Chiara, però, va capita. Ha impiegato anni per imparare a convivere con la morte della figlia, ha sopportato la pressante invadenza mediatica e quando, finalmente, era tornata a una vita normale è ripartito tutto da capo: oggi, a distanza di 18 anni, si ritrova ancora sotto casa gente che si fa selfie davanti alla villetta dell’omicidio e, ogni volta che accende la tv, vede l’immagine di Chiara. Devastante.

La chiusura di Rosa Preda nei confronti del condannato è stata ed è totale, anche adesso che la mamma di Alberto ha allungato una mano in cerca di un contatto. «Io, da parte mia, mi potrei avvicinare - ha detto nei giorni scorsi Elisabetta Ligabò parlando dei genitori di Chiara-, ma da parte loro non c’è questa disponibilità. Cosa faccio? Vado a sbattere contro un muro? Se una persona non ti vuole più incontrare, non la puoi obbligare. Io non ho provato ad incontrarli, ma sarei pronta a farlo». Lei, la madre di Stasi, in questi 18 anni ha vissuto un dolore diverso, forse meno viscerale ma più rabbioso: suo figlio, che si è sempre dichiarato innocente, è stato condannato a 16 anni di carcere, dopo un processo controverso con sentenze a capriola, e ha già trascorso 10 anni in cella. Lei l’ha sempre difeso, con forza. «Alberto è in carcere da otto mesi. E se lo meritasse, credetemi, lo sopporterei - disse in un’intervista nel 2016 -. Ma io sono certa che lui è innocente e sono anche certa che qualcuno sa la verità ma non la dice. Mi rivolgo direttamente a chi sta custodendo questo terribile segreto: parlate, vi prego. Non vi chiedo di mettere a rischio la vostra vita. Non pretendo che siate coraggiosi: ci sono molti modi anonimi per farmi arrivare informazioni e notizie».

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Si è esposta pubblicamente poche volte, la signora Ligabò, ma quando l’ha fatto è sempre stata chiara. A volte dura. Come recentemente parlando della nuova indagine su Andrea Sempio: «Quello che sta vendendo fuori è sconvolgente. È uno schifo. Alberto si è sempre dichiarato innocente e adesso la verità sta finalmente venendo a galla, non ho mai messo in dubbio la sua innocenza neppure per un minuto. È stata un’indagine in una sola direzione, fin dall’inizio. Non so perché sia andata così, ma questo è quello che è successo. Sempio? Io quella persona non voglio sentirla nemmeno nominare. Di lui non parlo, assolutamente». 

ANSIA ED ERRORI

Appunto, Andrea Sempio. Era stato indagato già una volta, poi la sua posizione era stata archiviato e ora è indagato nuovamente. Un saliscendi di ansie, paure, preoccupazione che sua madre, Daniela Ferrari, ha gestito a fatica e, spesso, male. Come quando, prima che l’ultima indagine diventasse pubblica, ha contattato la redazione de Le Iene per difendere il figlio dai sospetti, ma si è fatta sfuggire racconti (un litigio tra Chiara Poggi e la cugina Stefania Cappa) e dichiarazioni. «Quando abbiamo trovato questo scontrino- ha spiegato lo scorso aprile in un’intervista - io ho detto all’Andrea: “Guarda che magari, visto che è successa una cosa così grave, verrai chiamato e ti chiederanno dove eri. Teniamolo sto scontrino». E lì è stato più di un anno. Finché quando l’Andrea è stato sentito nel 2008, mi hanno chiamato dopo le 4 del pomeriggio chiedendomi dove era questo scontrino perché i carabinieri lo volevano vedere». L’ultima volta, però, durante un interrogatorio nel quale si è avvalsa della facoltà di non rispondere, è inciampata in un attacco di panico che, secondo l’accusa, farebbe traballare l’alibi del figlio: quando le hanno fatto il nome e il cognome di un vecchio amico lei si è agitata al punto da sentirsi male. Forse, sospetta qualcuno, perché il famoso biglietto del parcheggio non era di Andrea, ma suo.