Covid, scandalo mascherine tarocche: quando sono state pagate

di Massimo Sanvitomartedì 17 giugno 2025
Covid, scandalo mascherine tarocche: quando sono state pagate
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Oltre il danno, ecco la beffa. L’affaire mascherine, si parla ovviamente dei tempi del Conte bis, s’ingrossa. La commissione d’inchiesta sul Covid, fortemente voluta da Fratelli d’Italia, ogni giorno che passa sta scardinando sempre più la narrazione giallorossa. Non è andato tutto bene. Già raccontato su Libero che milioni di dispositivi di protezione farlocchi avrebbero invaso le corsie degli ospedali di tutta Italia, con un conseguente danno economico miliardario, la novità è legata alla modalità dei pagamenti. Il governo avrebbe sborsato in anticipo denaro degli italiani per mascherine, che poi si sono puntualmente rivelate inadeguate, prima dei necessari controlli del Comitato tecnico scientifico. Tradotto: i soldi dei contribuenti sono stati sprecati ancor prima di sapere se ciò che si stava comprando fosse utile a prevenire i contagi.

$ stata la seconda parte della testimonianza in Commissione da parte di Fabio Ciciliano, oggi capo dipartimento della Protezione civile ma membro del famoso Comitato tecnico scientifico durante la pandemia, ad aprire il nuovo capitolo. «$ emerso, infatti, che le mascherine provenienti anche dalla Cina risultate inidonee sarebbero state pagate con soldi pubblici in anticipo rispetto ai controlli di idoneità da parte del Cts. I pareri, alcuni dei quali negativi, sarebbero stati emessi nel maggio 2020, i pagamenti per lo più tra marzo e aprile dello stesso anno», spiega a Libero Alice Buonguerrieri, capogruppo di Fratelli d’Italia in Commissione Covid. Non solo. «Sarebbe emerso inoltre che la struttura commissariale avrebbe inviato al Cts mascherine con marchio inidoneo ammettendo integrazioni documentali ai fini della loro validazione, invece avrebbe dovuto segnalarle all’autorità giudiziaria. Su tutto questo continueremo a fare chiarezza», aggiunge Buonguerrieri.

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Nel decreto di sequestro delle mascherine si legge che «le indagini documentali, innanzitutto, hanno dimostrato come una considerevole porzione dell’intera fornitura sia stata validata sulla base della sistematica sostituzione dei test-report, i quali, inizialmente le accompagnavano con altri». Gli stessi “test-report” sono risultati a volte «non riconducibili all’apparente istituto emittente», a volte «incomprensibili per via della lingua», a volte «inidonei per carenza di requisiti». Insomma, un gran pasticcio. Ma non è tutto, perché i secondi test report - «pur riportando una data non successiva ai primi (come sarebbe accaduto se si fossero ripetute/eseguite le prove di laboratorio inizialmente mancanti) ma antecedente la fornitura o addirittura la medesima data dell’atto sostituito» - sono stati accettati come «valutabili ai fini della validazione».

Sempre nel decreto di sequestro, si riporta come si sia verificata, in questo modo, una «pura e semplice sostituzione modulare di un atto inidoneo, con uno omologo, privo di alcuna garanzia di veridicità». Ergo: la validazione in oggetto ha «quasi sempre seguito (e non anticipato) i pagamenti delle forniture, cosicché le strutture Inail e Iss a supporto del Cts si sono trovate nella scomoda condizione di dover sconfessare, in caso di giudizio negativo, pagamenti con denaro pubblico già erogati». Viene definito dunque «singolare» il fatto che sulle stesse forniture e sugli stessi documenti «mentre l’Inail a supporto del Cts ha ratificato le autocertificazioni, l’Inail centrale, investito della richiesta di validazione per la distribuzione privata degli stessi dispositivi di protezione, l’ha respinta». Certo, era un «mercato di guerra» dove «i prezzi avevano una fluttuazione incredibile e le mascherine ffp2 arrivarono anche a 12-15 euro l’una (così aveva già spiegato Ciciliano), ed era prioritario dare risposte rapide alla popolazione ma nulla «giustifica alcun abbassamento dello standard qualitativo richiesto per l’uso sanitario/protettivo dei dispositivi».

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