Fu una gara a salvarsi, e alla fine non si salvò nessuno. Fu anche un gioco degli inganni, e ne riuscì solo qualcuno. Il 25 luglio 1943, nella notte del Gran Consiglio, si rappresentò un copione in buona parte già scritto, affidandosi per il resto a una recita a soggetto. Benito Mussolini sapeva per filo e per segno il contenuto dell’Ordine del giorno di Dino Grandi, sottopostogli preventivamente in visione. Cosa votarono quindi i gerarchi in quell’organismo puramente consultivo, quasi mai convocato? La salvezza del regime, in un estremo tentativo di svincolarlo dal disastro della guerra fascista sacrificandone il capo. Il duce intravedeva a sua volta la possibilità di sopravvivere politicamente, tant’è che l’indomani, dopo l’arresto, scriverà un’untuosa lettera al suo successore Pietro Badoglio, mettendosi a disposizione del nuovo capo del governo.
Quella seduta del Gran Consiglio non era semplicemente una presa d’atto notarile. Dino Grandi, prima che fossero aperti i lavori, si era recato in chiesa a piazza Colonna, e nelle tasche portava un paio di granate: non è l’atteggiamento di chi sa che tutto è già scritto. La sua iniziativa, con l’adesione di Galeazzo Ciano, genero di Mussolini, aveva ottime possibilità di passare il tiro incrociato dei fedelissimi, ma cosa avrebbe fatto il duce non lo sapeva. Mussolini non aveva ascoltato donna Rachele, che una volta informata dei contenuti del Gran Consiglio gli aveva detto, con il solito pragmatismo contadino, di far arrestare tutti.
Roma, danneggiata la lapide del monumento di Giacomo Matteotti
Un oltraggio alla memoria di Giacomo Matteotti. Nella mattinata di lunedì 21 luglio è stato segnalato il d...Grandi era vicino ai circoli monarchici dai quali ormai arrivavano solo segnali di malcontento, vicinissimo a quelli massonici di cui nonostante gli strali mussoliniani era rimasto aderente, non lontano dagli ambienti britannici per le sue frequentazioni come stimato ambasciatore a Londra. Che potesse sostituire il duce era tutto da dimostrare, anche perché i pretendenti alla successione non mancavano, ma che potesse traghettare lui l’Italia fuori dalle secche della guerra perduta non era improbabile. Il suo ordine del giorno restituiva a Vittorio Emanuele III le prerogative sovrane in forza dello Statuto albertino, espressamente restituendogli il comando delle Forze armate e implicitamente di esercitare il potere di fare la pace.
La trappola tutta interna al fascismo scattò, com’è noto, con 19 voti che provocarono la sfiducia e la caduta di Mussolini. La trappola esterna del colpo di stato monarchico scatterà qualche ora dopo, quando Mussolini sarà convocato dal re a Villa Savoia, precisando che avrebbe dovuto presentarsi in abiti civili. Ancora una volta Rachele vide giusto e disse al marito di non andare, ma lui si fidava ancora del sovrano, “cugino” in virtù del Collare dell’Annunziata e che lui aveva fatto imperatore d’Etiopia e re d’Albania. Il piano era già stato studiato nei minimi particolari e appena Mussolini uscì da Villa Savoia venne arrestato dai carabinieri «perla sua stessa sicurezza» e fatto sparire. La radio dell’Eiar informava che il Cavalier Benito Mussolini si era dimesso e gli italiani scendevano in piazza con manifestazioni di giubilo, mentre tra i gerarchi fascisti scattava il si salvi chi può.
Gli italiani confusero la notizia della caduta del duce con la fine della guerra che però continuava, i tedeschi vennero portati a credere (ma non ci credettero mai) che nulla sarebbe cambiato, Badoglio volle credere di poter gestire al meglio l’unico obiettivo di un governo militare che era anche un governo di scopo: fare la pace con gli Alleati. Il 25 luglio fu scelto personalmente da Vittorio Emanuele III, nonostante tutti glielo sconsigliassero. Alla notizia della defenestrazione di Mussolini nessun fascista fece nulla, nessuno lo cercò per liberarlo, la Divisione M di camicie nere addestrate e armate dai tedeschi rimase ferma, la Milizia si affrettò a sostituire i fascetti al bavero con le stellette e altrettanto fece la Polizia del redivivo Carmine Senise richiamato al vertice. Goebbels scrisse sul diario che il fascismo non esisteva più, ed era vero. Ma ancora oggi qualcuno fa finta di non saperlo.