Montagna, 83 morti in un mese: strage in Italia

di Claudia Osmettimartedì 29 luglio 2025
Montagna, 83 morti in un mese: strage in Italia
3' di lettura

È che la montagna è fatta così: è senso di libertà, ma è anche conoscenza, rispetto e preparazione. È una madre-matrigna, che ti coccola, ti conquista e impiega pochi attimi a cambiare e a metterti in difficoltà. Prendi i due alpinisti che domenica sera, intorno all’imbrunire, dalla Cresta Signal che è a circa cento metri di dislivello sotto la Capanna Margherita, il rifugio più alto d’Europa, lassù a 4.554 metri d’altezza, a un passo dal cielo, sul versante della Valsesia del Monte Rosa, hanno dovuto lanciare l’allarme. Sos-venite-a-prenderci. Non ce la facevano più: sfiniti, stanchi, esausti. L’intervento per recuperarli è stato lungo e complesso, un po’ per le condizioni meteo avverse, un po’ perché il destino, quando ci si mette, complica ogni cosa: non fosse stato per quegli angeli con le tute gialle del Soccorso alpino e speleologico (Cnsas) piemontese che hanno fatto ciò che fanno tutte le estati (e le primavere, e gli autunni e gli inverni), i due, già in ipotermia, non sarebbero stati raggiunti intorno a mezzodì. Uno è stato trasportato in elicottero all'ospedale e per l'altro si è optato per l'evacuazione da terra alla Capanna.

I NUMERI
È la bella stagione, col caldo in città e il refrigerio sulle cime. Epperò questo è un anno particolare. «Un’estate così, con tanti morti in montagna, non me la ricordo. Siamo oltre ogni limite»: Maurizio Dellantonio è il presidente del Cnsas nazionale ed è uno di quei montanari che non parla mai a vanvera. Dopotutto bastano i numeri: in poco più di un mese, cioè dal 2 giugno al 23 luglio, quindi senza neanche contare lo scorso fine settimana, i decessi registrati tra camminatori, cercatori di funghi, semplici vacanzieri sono stati addirittura 83, i dispersi cinque e gli interventi il 20% in più dell’anno scorso. È «una situazione mai vista», ma è anche (soprattutto) un campanello d’allarme che suona incessante e che di dubbi ne solleva più d’uno. Primo: dall’anno della sua fondazione, il 1954, il Cnsas ha operato in oltre 223mila occasioni, soccorrendo più di 238mila persone, impiegando ogni giorno centinaia di uomini e donne preparati, preparatissimi, coraggiosi e sempre disponibili. Fermo che gli incidenti succedono e il rischio zero esiste no, a ogni missione sono loro che rischiano la pelle (anche se non ce lo ricordiamo quasi mai). Secondo: queste statistiche non sono neanche complessive dato che pure la Guardia di finanza ha squadre che fanno esattamente lo stesso lavoro e, ovunque, collabora anche il 118. Significa che il fenomeno, con ogni probabilità, è ancora più esteso.

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Terzo: è vero che il salvataggio, a determinate condizioni, cioè quando non è essenziale, potrebbe essere a pagamento, ma qui si apre una parentesi potenzialmente infinita. Sono in pochissimi quelli che davvero mettono mano al portafoglio, non c’è un’uniformità nazionale sulle tariffe (in Trentino possono arrivare a chiedere 750 euro, in Veneto anche mille), la sottoscrizione di un’assicurazione zomperebbe molti inghippi ma non è una pratica diffusa e tanti, dobbiamo essere onesti, neppure sanno di questa eventualità.

«La gente sale senza esperienza, senza equipaggiamento, senza consapevolezza dei propri limiti», continua Dellantonio. E ha ragione. C’è il ragazzotto 30enne che si avventura a 3.600 metri, in Val Senales, con scarpe da ginnastica e chiede aiuto perché, oltretutto è sera, ha un principio di congelamento. C’è la mamma che s’arrampica sulla via ferrata in sandali e coi bimbi in braccio. Ci sono quelli che s’informano ma sui social (magari sulle pagine degli influencer che sono andati al bivacco e che la raccontano facile), quelli che non hanno la giusta attrezzatura, quelli che non hanno la giusta preparazione atletica, quelli che vogliono strafare, quelli che pensano da soli è bello uguale.

I CONSIGLI
No, signori, a rischio di suonare ripetitivi perchè non è la prima volta che lo scriviamo: così non va. Perché la montagna è, su tutto, cognizione. Di sé, prima che dell’ambiente o degli altri. I diretti interessati lo ripetono da sempre: ci si incammina sui sentieri solo dopo averli studiati, dopo aver chiesto agli esperti, alle guide, alla sezione Cai locale, dopo aver controllato e ricontrollato il meteo, dopo aver recuperato l’attrezzatura adeguata (che vuol dire vestiario adatto al freddo, cibo a sufficienza, cellulare carico ma non per fare i selfie da condividere, per usarlo in caso di emergenza).

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