È ritrovando il cuore dei ragazzi che la Chiesa può darsi un futuro

In una Europa fragile, tanti studenti cercano le ragioni della Fede Papa Leone: "Vorrei che tutti vedessero in voi il volto di Cristo"
di Antonio Soccidomenica 3 agosto 2025
È ritrovando il cuore dei ragazzi che la Chiesa può darsi un futuro
4' di lettura

«Secondo il Pew Research Center, oltre il 70 per cento dei giovani europei tra i 16 e i 29 anni si dichiara non religioso; l’Organizzazione mondiale della Sanità ricorda che «l’Europa è il continente con il più alto tasso di suicidi giovanili al mondo»; di riflesso, come evidenziato dall’Eurobarometro nel 2022, «il 42 per cento dei giovani europei dichiara di ritenere la propria vita priva di significato». Ecco un’istantanea del disastro spirituale europeo davanti a cui si trova oggi il nuovo Papa Leone XIV (Vatican news ha ripreso questi dati dal “Manifesto dei giovani cristiani d’Europa”).

I ragazzi venuti a Roma per il Giubileo sono una minoranza che si sottrae al deserto nichilista, ma non sono immuni dalla fragilità della propria generazione e sono immersi in questo tempo tenebroso del mondo. La loro fede è spesso sentimentale e il lessico clericale usato con loro dai monsignori e dai cardinali che si sono ascoltati in questi giorni è mainstream: pace, amore, natura, gioia... Sembra di sentire Ruggero, l’hippy interpretato da Verdone in Un sacco bello. O Katia e Valeria quando a Zelig facevano le concorrenti di Miss Italia che partecipavano “per la pace nel mondo”. Con il solito giovanilismo patetico degli ecclesiastici e dei media. CONTINENTE IN

DIFFICOLTÀ

Ma per quei giovani si tratta di trovare le ragioni vere, profonde e rinnovatrici della fede cattolica. Il Papa lo aveva ben chiaro quando, lunedì scorso, ha accolto l’arrivo a Roma dei pellegrini scrivendo: «quello che vivrete durante il Giubileo non rimanga solo come un ricordo in belle foto. Vorrei che tutti possano vedere in voi il volto di Cristo». D’altronde quei dati drammatici che ho citato sopra non interpellano solo la Chiesa: sono anche un’istantanea del disastro di fronte al quale si trova l’Europa. È un naufragio umano ed esistenziale, ma anche culturale e civile. Che va di pari passo con lo sgretolamento politico dell’edificio europeista. È la conferma di ciò che Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno ripetuto per anni: per il Vecchio continente estirpare le sue radici cristiane, con una costruzione tecno-burocratica accentratrice, significa suicidarsi.

Dice la stessa cosa un intellettuale laico “post-anarchico” come Michel Onfray. Ieri, intervistato dal Giornale, dopo aver definito la Ue «un totalitarismo sorridente fatto di costrizioni silenziose imposte dallo Stato nazional-europeista di Maastricht» con «il potere nelle mani di figure non elette» e con l’obiettivo di «abolire le nazioni, sterminare le identità culturali», ha aggiunto: «Viviamo la decomposizione dell’Europa giudaico-cristiana e la ricostruzione degli imperi perduti». Intendendo con ciò Russia ortodossa, Turchia islamica, Cina confuciana-marxista e Usa. Questo ritorno agli imperi, con «l’Europa che guarderà passare il treno della Storia» standone ai margini, perché non ha più un rapporto forte con gli Stati Uniti, è il grande problema del momento. Rischia di essere il collasso dell’Occidente e sembra che solo Giorgia Meloni abbia colto la pericolosità di questa situazione.

Dal 1945 fino al crollo dei regimi comunisti dell’est, nel 1989, si è avuto un tempo di libertà, di pace e di straordinario benessere (un salto mai visto prima) proprio grazie a ciò che chiamiamo Occidente, cioè l’asse euroamericano. Se si rileggono le riflessioni sul futuro dell’Europa che si facevano negli Stati Uniti attorno al 1947, si scopre che si parlava di «radici della nostra civiltà» minacciate dal comunismo e si temeva che «il fiore sbocciato da quella civiltà nel Nuovo Mondo» potesse «davvero appassire e morire». È precisamente da quelle riflessioni che – mentre si realizzava il Piano Marshall e si preparava la Nato – su impulso americano si cominciò a lavorare all’unità dell’Europa occidentale. Così nacque la Cee: da Washington, non da Ventotene.

L’INSEGNAMENTO DI BENEDETTO

Oggi si sono disseccate quelle radici comuni e così si sta disintegrando l’Occidente. Nell’ottobre 2009, Benedetto XVI, ricevendo il Rappresentante della Commissione delle Comunità Europee presso la Santa Sede, ricordò «il ventesimo anniversario della caduta del muro di Berlino», poi la parte d’Europa «provata dal giogo di una dolorosa ideologia» e si rallegrò «per il dono della libertà recuperata che ha permesso al continente europeo di ritrovare la sua integrità e la sua unità». Infine disse: «Lei, signor Ambasciatore, ha appena definito l’Unione Europea come “un’area di pace e di stabilità che riunisce ventisette Stati con gli stessi valori fondamentali”. È una felice definizione. È tuttavia giusto osservare che l’Unione Europea non si è dotata di questi valori, ma che sono stati piuttosto questi valori condivisi a farla nascere e a essere la forza di gravità che ha attirato verso il nucleo dei Paesi fondatori le diverse nazioni che hanno successivamente aderito a essa, nel corso del tempo.

Questi valori sono il frutto di una lunga e tortuosa storia nella quale, nessuno lo può negare, il cristianesimo ha svolto un ruolo di primo piano. La pari dignità di tutti gli esseri umani, la libertà d’atto di fede alla radice di tutte le altre libertà civili, la pace come elemento decisivo del bene comune, lo sviluppo umano- intellettuale, sociale ed economico - in quanto vocazione divina e il senso della storia che ne deriva, sono altrettanti elementi centrali della Rivelazione cristiana che continuano a modellare la civiltà europea». Dopo Benedetto XVI la Chiesa ha “dimenticato” questa sua maternità. Ritrovarla oggi e aiutare l’Occidente a ritrovare la sua anima e una nuova unità è forse il suo più grande contributo alla pace mondiale. Ma anzitutto c’è l’essenziale: la Chiesa deve rafforzare la fede cattolica partendo proprio dai giovani (come ieri), mettendo Cristo al centro: con la vita comunitaria, i sacramenti, la cultura, la carità e la missione. È questa la nuova evangelizzazione sognata da Giovanni Paolo II. È il compito primario della Chiesa ed ha una ricaduta preziosa per tutti, anche per i non credenti: una civiltà umanistica che può di nuovo illuminare il mondo. 

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