Non è patriarcato. N Lo afferma in modo categorico nel titolo del suo libro Lorena Pensato, ex docente di scienze giuridiche che si è dedicata per vari anni a raccogliere dati sui femminicidi per poi scrivere il suo pamphlet-denuncia. Attenzione – è la sua tesi – attribuendo ogni omicidio di donne al patriarcato e alla violenza di genere si finisce col minimizzare il fenomeno, facendone uno stereotipo ideologico da dibattere nei talk show. A risentirne sarebbero proprio gli strumenti di tutela delle donne.
«Ad oggi infatti», scrive Pensato «la prevenzione si concentra sulla violenza di genere, attraverso programmi e progetti dedicati alle donne, associazioni, Ong, con il risultato di stereotipare una problematica che invece dovrebbe riguardare entrambi i sessi». L’alternativa è declinare i casi di omicidio come violenza relazionale: vanno quindi evidenziati tutti gli aspetti della multifattorialità della violenza.
«In sostanza», è il suggerimento del libro «lasciato da parte il fattore rischio relativo al modello culturale del patriarcato, si possono palesare tutti gli altri elementi capaci di condurre ad una tragedia nel contesto familiare, dipendenze, disagio psichico, disturbi, depressione».
A questa visione si oppone però una mentalità ideologica secondo cui la violenza agita sulle donne è causata dalla cultura della discriminazione; quindi, tutte le forme di violenza nei confronti di una donna «devono rientrare nella categoria violenza di genere qualora provengano da un uomo, la figura del maschio oppressore, emblema dell’Occidente». Quest’ultima precisazione è molto importante perché Lorena Pensato fa rientrare la propaganda anti-patriarcato nella moda del wokismo che mira a condannare l’Occidente, la sua storia, la sua organizzazione sociale a partire dalla famiglia, il suo linguaggio, l’arte e la letteratura.
«Questo» avverte l’autrice «è il momento in cui abbiamo abbandonato il buon senso. Alcool, abuso di droga, disagio mentale diventano delle microscopiche condizioni, irrilevanti e ininfluenti. Pertanto, un soggetto di sesso maschile, con una grave dipendenza da sostanze come cocaina mista all’alcool, picchia la fidanzata, ma non è la sua condizione di disagio ad essere rilevante come fattore di rischio di possibili violenze, bensì il fatto di essere semplicemente uomo, intriso di una cultura patriarcale».
Lorena Pensato non attacca solo il wokismo ma anche un’altra eredità del pensiero progressista: la filosofia del determinismo educativo, secondo il quale qualsiasi male della società si cura con la corretta educazione. Così all’indomani dell’uccisione di una donna non si parla del singolo assassino, ma di un’intera generazione, della società nella sua totalità, perché il messaggio è «più rieducazione per tutti» che, per inciso, è anche un bel business. E la famiglia viene presentata come terreno privilegiato in cui matura il disastro educativo.
«Le teorie che privilegiano la dimensione culturale e sociale come fattore determinante per la propensione al crimine», secondo Pensato «sono strettamente collegate a orientamenti politici. Tale convinzione è funzionale al ruolo egemonico dello Stato in campo culturale. Non è più la famiglia a farsi carico dell’educazione ai valori nei quali crede, ma la scuola o l’informazione istituzionale, cosicché si possa raggiungere l’omogeneizzazione della cultura, ossia il Pensiero Unico».
Ecco allora che, se pensare che i femminicidi abbiano tutti come matrice il maschilismo violento porta a sottovalutare i fattori di rischio, l’insistenza retorica sul patriarcato è la porta attraverso la quale entra in gioco l’ideologia anti-familista. Osservazioni interessanti, che meriterebbero un dibattito libero da preconcetti e intellettualmente non orientato a sinistra.