Lunghe barbe e lunghe tuniche. Lingue velenose. Consuetudini violente. Si annidano negli scantinati di moschee abusive mascherate da centri culturali. Incendiano le piazze pro -Pal al fianco di centri sociali e collettivi studenteschi rossi. Stringono rapporti con sindaci compiacenti e agitano i social. Forti della perenne sponda della sinistra, sempre pronta a giustificare ogni loro parola e ogni loro mossa, seminano odio verso l’Occidente, antisemitismo e misoginia da nord a sud. Ovunque. Gli imam “italiani” rappresentano un grosso problema per la sicurezza del Paese e chi non lo capisce, o fa finta di non capirlo, è parte dello stesso grosso problema. La mappa dell’integralismo islamico è sempre più denso. Il nome di Mohamed Shahin, l’imam egiziano della moschea torinese “Omar Ibn Al Khattab” liberato dalla Corte d’Appello nonostante le sue posizioni filo-Hamas, è solo l’ultimo di una lunga sfilza di cattivi maestri. In questi giorni, per dire, si sta guadagnano i disonori delle cronache un signore pakistano di 70 anni che si chiama Muhammad Ashraf ed è la sedicente guida religiosa di Porto Maggiore, nel ferrarese. «Le donne libere sono come puttane», ha sentenziato ai microfoni di Rete 4. Il paese è insorto e pure i suoi connazionali hanno preso le distanze.
INFLUENCER DEL TERRORE
Che dire poi del giordano Mohammad Hannoun, imam a Genova e presidente dell’Associazione dei palestinesi in Italia, uno che si è beccato due fogli di via da Milano - prima per aver difeso la caccia all’ebreo scatenata ad Amsterdam dopo la partita di Europa League tra Ajax e Maccabi Tel Aviv; poi per aver inneggiato alla democraticissima legge del taglione in merito alle esecuzioni dei ribelli da parte di Hamas («I collaborazionisti di Israele vanno uccisi») - e che è stato inserito nella blacklist del Dipartimento del Tesoro americano «per aver materialmente assistito, sponsorizzato o fornito supporto finanziario, materiale o tecnologico, ad Hamas» attraverso una propria associazione? Un personaggio che vanta referenze importanti con esponenti del “campo largo”. A Bologna, invece, ci pensa tale Omar Mamdouh, a capo della moschea Iqraa, a spargere nefandezze. Costui è diventato famoso per le sue prediche social, grazie al canale TikTok “Il vero islam”. «L’islam raggiunge tutti i posti del mondo, arriverà la religione in tutte le case, l’islam arriverà dove arrivano il giorno e la notte», ha detto in uno dei suoi video. E ancora: «Quando arriva il Natale e i nostri fratelli musulmani fanno gli auguri è una cosa che non si può fare.
Loro dicono che a Natale, il 25 dicembre, è nato il figlio di Dio, ma dire che Allah ha un figlio per noi è un insulto. A quel punto io divento molto nervoso e queste cose non le accetto». Di più: «Per principio l’uomo non può parlare con la donna e viceversa, a meno che non sia strettamente necessario. Se per esempio la donna, su un autobus, deve chiedere indicazioni all’autista, lo può fare, ma non può iniziare a scherzare o fare complimenti e domande: questo è vietato». Le femministe di sinistra si sturino le orecchie, ascoltino e traggano le loro conseguenze. Prima di Mamdouh, nel rossissimo capoluogo emiliano, c’era Zulfiqar Khan, il pakistano espulso dall’Italia nell’autunno del 2024 per motivi di sicurezza nazionale. Sapete cosa diceva nei suoi video? Invitava i fedeli di Allah a rifiutarsi di pagare le tasse in quanto le risorse «devono rimanere nella comunità musulmana». Poi aveva definito l’omosessualità «una malattia da curare» che ogni islamico ha il diritto di contrastare. I califfi della galassia arcobaleno da Pride rigorosamente pro-Pal non hanno nulla dire? Poi ecco Bou Konate, imam senegalese della multietnica Monfalcone a capo della moschea abusiva “Darus Salaam”, che la scorsa primavera si è pure candidato sindaco con la lista “Italia Plurale” di Aboubakar Soumahoro.
Uno che a una giornalista di Mediaset che provava a intervistarlo aveva candidamente detto: «Io non devo rispondere, mandami il tuo capo. Sei troppo piccola. Parlo solo col tuo capo perché lui è al mio livello». Non è un imam, ma un portavoce della moschea “Taiba” di Torino, Brahim Baya. Sono però degne di nota le sue esternazioni pubbliche. Lo scorso maggio, intervenuto durante l’occupazione pro Palestina delle facoltà umanistiche, aveva invitato tutti a unirsi al «Jihad nel senso più alto del termine». I terroristi di Hamas, per lui, rappresentano «la voce della resistenza». E gli attacchi del 7 ottobre che hanno prodotto 1.200 morti? Il giorno in cui i palestinesi «hanno detto al mondo “noi esistiamo’». Yahya Sinwar, una delle menti del massacro, meriterebbe dunque un posto di diritto «nella pietra della storia».
ACCUSE DI ISLAMOFOBIA
Tra i più acerrimi odiatori di Israele c’è poi Ali Abu Shwaima, guida religiosa della moschea di Segrate (primo hinterland milanese) nonché primo segretario dell’Ucoii (l’Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia) nel ’90. All’indomani dell’attacco di Netanyahu all’Iran, aveva spiegato proprio a noi di Libero come Tel Aviv rappresentasse uno Stato «contrario all’ordine mondiale». E il Paese degli ayatollah? «È riconosciuto dall’Onu e se mi dite che è illiberale allora anche i Paesi europei lo sono. Per esempio la Francia, dove obbligano le ragazze a togliersi il velo per andare a scuola; in Iran è il contrario, per studiare devi mettere il velo. Mi dite cosa cambia? In Europa c’è islamofobia». Hai capito? Lui stesso, giusto per intenderci, nel 2016 aveva dichiarato senza mezzi termini come fosse «più decoroso», per una donna, «non andare in bicicletta». Italia, 2025.




