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Un successo i voucher di Sacconi

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Il presidente di Confargicoltura promuove il governo e Galan. Ma chiede più attenzione

Tatiana Necchi
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di Giulia Cazzaniga - «Lasciamo lavorare il ministro Galan, se continuiamo con le polemiche sterili l'agricoltura non riuscirà ad uscire dall'impasse in cui si trova oggi». Federico Vecchioni, presidente di Confagricoltura, è oggi più che mai preoccupato. Le voci che si rincorrono sulla possibile sostituzione al ministero dell'Agricoltura non giovano al settore, «che invece ha bisogno di essere rimesso al centro». Vecchioni, qual è la situazione? Quali sono i  problemi che il settore sta attraversando? «La crisi ci ha toccato profondamente: il 2009 ha chiuso con un segno “meno” molto significativo. Le imprese agricole hanno perso il 20% di reddito. Oggi stiamo perdendo quote di mercato, complice anche la crisi dei consumi. Il sistema, e penso anche al costo previdenziale e del lavoro, unitamente a quelli di energia, trasporti eccetera, è sempre più pesante sulle spalle degli agricoltori. Per fortuna le difficoltà non si sono riversate sull'occupazione: gli occupati sono stabili a un milione e 400mila, gli stagionali vengono stimati intorno ai 900mila. Ma occorre mantenere gli sgravi fiscali e stabilizzarli. Se si continua a prorogare, come può un imprenditore programmare il lavoro e organizzare la sua azienda?». Questa situazione è generalizzabile? Oppure ci sono aree in Italia che soffrono di più? «Ci sono più che altro comparti che hanno dimostrato di avere maggiore capacità di misurarsi con il mercato. Penso alle imprese che hanno investito sulla filiera, che oggi confezionano e trasformano. Si sono dimostrati in grado di mantenere la parola data con il mondo del credito, e sono rimasti in una logica di competizione. Penso all'ortofrutticolo e al vinicolo, e anche al lattierocaseario, anche se con diverse caratteristiche. L'occupazione regge, ma soffriamo un sistema che va riformato. Una riforma che - le proposte di Confagricoltura lo dimostrano - può essere realizzata a costo zero. Serve una ristrutturazione profonda. Serve semplificare l'apparato burocratico, ma anche abrogare le inutilità. Semplifichiamo i passaggi che occorrono per l'assunzione di extracomunitari, ad esempio. Rendiamo la sicurezza sul lavoro più sostanziale che formale». Al Sud l'agricoltura deve fare i conti con un boom di illegalità... «Il tema dell'illegalità preoccupa molto chi è sul territorio. Gli imprenditori agricoli del Mezzogiorno me ne parlano spesso. È un rischio per il territorio, è concorrenza sleale. Abbiamo firmato e continuiamo a firmare avvisi comuni con sindacati e ministeri. Ma serve monitorare il territorio. L'impresa agricola è a cielo aperto, è difficile da controllare. Il governo ha fatto molto nella lotta contro la mafia, ma il nostro settore è purtroppo affetto dalla microcriminalità. Calabria, Campania e Sicilia sono allarmate, è difficile lavorare così». Altro argomento spinoso è quello degli extracomunitari… «Rosarno è stato un caso a sé, che meritava l'intervento della magistratura. Una situazione criminale in cui era necessario intervenire. Ma non ha nulla a che vedere con il resto del settore. Esistono alcuni fenomeni criminali, è vero. Ma nel contempo ci sono indubbie necessità di manodopera che è oggi prevalentemente non nazionale. E che deve trovare allocazione rapida in momenti come quello della raccolta. Più il meccanismo diventerà semplice e trasparente meno prolifereranno fenomeni come il caporalato. Ma se l'imprenditore si trova davanti a pacchi di fogli da compilare… non è certo predisposto verso il rispetto delle regole. Ovviamente bisogna distinguere tra errori amministrativi e criminalità». Quanti sono oggi gli stranieri che lavorano nel settore? «Per la manodopera tocchiamo anche punte del 30%, specialmente nell'ortofrutticolo». La Cei pochi giorni fa promuoveva un ritorno all'agricoltura per combattere la crisi, cosa ne pensa? «Ben venga, ma riteniamo che un ritorno all'agricoltura debba coincidere con il dare gli  strumenti per competere alle nostre aziende. Bisogna occuparsi del reddito di chi lavora nel settore. Oggi non è dignitoso. Perché altrimenti pensa che i giovani italiani non siano attratti dai campi? Ricollochiamo l'agricoltura al centro dei settori strategici. Lo deve fare la politica. E se non lo fa è un grosso errore. Il rischio è quello di un'emergenza sociale». I voucher predisposti da Sacconi vi hanno aiutato in questo senso? «Il bilancio è positivo. Ne sono stati utilizzati 2 milioni e 300mila. Questo significa che ogni semplificazione è ben accetta. E segnalo che al contrario delle preoccupazioni dei sindacati, il voucher non ha destrutturato il sistema del lavoro a tempo indeterminato ma anzi ha generato nuove forme di collaborazione. Continuiamo in questo senso invece di fare polemiche sterili su chi debba stare al ministero...». Lei come vorrebbe che si concludesse questa polemica? «A noi basta che si chiuda. La polemica non giova. Abbiamo bisogno di punti di riferimento e di credibilità per poter dialogare con l'esecutivo, mettendo al centro i problemi reali. Servono politiche fiscali, previdenziali. Non siamo un comparto marginale. Il ministero non è da considerare solo come appetibile politicamente. Penso alle scadenze europee: cosa aspettiamo? Così non possiamo dare risposte. Aggiungo solo un'ultima cosa». Prego... «L'agricoltura non è solo il 2,5% del Pil come settore specifico, con la filiera raggiunge il 15,7%. Dobbiamo essere percepiti come un comparto imprescindibile per l'economia italiana. Siamo stati disponibili quando servivano soldi per la cassa integrazione, ma non abbiamo trovato spazio in Finanziaria. Ci auguriamo che Galan possa intervenire con un decreto. Il pregio di Galan? Si occupa dell'agricoltura non sotto il profilo mediatico ma dando attenzione al reddito degli agricoltori. Lasciatelo lavorare, non c'è più tempo».

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