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Bocchino mangiava su Telekom Serbia Fu l'unico pagato per l'affare

Le toghe di Roma, il numero due futurista il solo beneficiario dell'intermediazione / BONFACE

Andrea Tempestini
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L'unico politico italiano finanziato- sia pure in modo legale- con la provvista ottenuta dagli intermediari del caso Telekom Serbia fu l'attuale reggente di Futuro e Libertà, Italo Bocchino. Tutti gli altri leader coinvolti dal faccendiere Igor Marini, da Romano Prodi a Piero Fassino, fino a Lamberto Dini, non ricevettero un centesimo e furono tirati in ballo attraverso calunnie per destabilizzare la vita politica italiana. Lo hanno sostenuto ieri i due pubblici ministeri romani, Maria Francesca Loy e Giuseppe De Falco, chiedendo ai giudici della quinta sezione penale del tribunale di Roma di condannare a 12 anni di reclusione lo stesso Marini per associazione a delinquere finalizzata alla ricettazione di documentazione falsa e contraffatta e a diversi episodi di calunnia. Con capi di accusa simili a quelli per Marini i pm hanno chiesto la condanna anche di altri dieci uomini di affari che avrebbero preso parte al complottone. I due pubblici ministeri hanno spiegato nella requisitoria che “nel 2003, in relazione all'affare Telekom Serbia Prodi, Fassino e Dini, indicati come destinatari di tangenti sotto gli pseudonimi di Mortadella, Cicogna e Ranocchio, furono travolti da dichiarazioni devastanti, di una gravità inaudita, rese da Igor Marini e prive di qualsiasi fondamento.  I tre, insieme ad altri politici e a personalità religiose, sono state vittime di una serie di calunnie che hanno avuto un impatto imponente sotto il profilo giudiziario e sotto il profilo della vita del Paese”. Parole dure anche verso la commissione parlamentare di inchiesta istituita all'epoca per accertare le possibili tangenti che accompagnarono l'acquisto della Telekom serba da parte della compagnia italiana di tlc: «di quello scandalo fu fatto un grande uso politico perché quello che Marini andava sostenendo al pari di alcuni soggetti che trafficavano in titoli falsi da monetizzare, è stato cavalcato per motivi mai chiariti dalla commissione parlamentare di inchiesta presieduta da Enzo Trantino che in udienza ha preferito avvalersi di un improbabile segreto d'ufficio». Tutto falso, dunque: «Le indagini e quanto emerso in dibattimento hanno sancito l'insussitenza di tangenti e, al contrario, l'esistenza di calunnie verbali e documentali. L'unico esponente politico che alla fine ha ricevuto del denaro, nel giro di soldi legati alle intermediazioni per l'affare Telekom Serbia ritenute legittime dalla procura di Torino che ha escluso l'esistenza di tangenti, è stato Italo Bocchino che non è stato fra i soggetti accusati da Marini e dagli altri». Il caso a cui si riferiscono i pm romani è stato appunto esaminato all'epoca dalla procura di Torino, ed è piuttosto controverso. Quell'acquisto in Serbia venne infatti intermediato all'epoca dal conte Gianni Vitali, che ricevette come compenso 14 miliardi di lire dell'epoca. Una somma notevole, che sulle prime venne interpretata come una vera e propria tangente destinata a foraggiare partiti ed esponenti politici. La procura di Torino che indagò per prima sul caso (i pm erano Marcello Maddalena e Bruno Tinti) stabilì che quella somma non era una tangente, ma il provento di una intermediazione legale. Nacque però un giallo: il tesoretto del conte Vitali sparì a San Marino e il diretto interessato sostenne che gli fu rubato attraverso un raggiro da alcune finanziarie del paradiso fiscale guidate da italiani. Quella presunta refurtiva arrivò per due canali a Bocchino, che sembra fosse ignaro della provenienza dei liquidi. Indirettamente l'allora deputato di An ricevette 4,2 miliardi di lire. Parte di questa somma, in tutto 1,8 miliardi di euro, furono un finanziamento alla Goodtime sas di Gabriella Buontempo, moglie di Bocchino. La restante cifra, 2,4 miliardi di lire, fu erogata come finanziamento da parte della sanmarinese Finbroker alle Edizioni del Roma, che stampavano l'omonimo quotidiano controllato da Bocchino. Il futuro braccio destro di Gianfranco Fini allora spiegò che si era trattato di un anticipo sui contributi per l'editoria relativi all'anno 2001, su cui la società avrebbe pagato anche consistenti interessi. La vicenda però è restata una giallo, perché per quell'anticipo sarebbe bastato rivolgersi a una comune banca italiana e non era necessario andare a San Marino. Del finanziamento non c'è traccia nel bilancio 2001 delle Edizioni del Roma, mentre quello dell'anno successivo (2002) non è mai stato depositato al registro delle Camere di commercio. di Chris Bonface

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