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Attacco a Tripoli? Al via i raid contro i democratici

Doppio fronte a sinistra. Bersani vota per l'intervento in Libia e regala consensi a Vendola e Di Pietro. Che scatenano il 'fuco amico'

Andrea Tempestini
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Si torna a fare - persino a chiedere - la guerra. Perché c'è la risoluzione Onu, perché la comunità internazionale lo chiede. E anche, diciamolo, perché al posto di Bush c'è Obama, il quale è il primo a spingere per un intervento militare in Libia. E così, archiviati i cortei pacifisti, arrotolate le bandiere arcobaleno, messo da parte il celebre articolo 11 della Costituzione («L'Italia ripudia la guerra») il Partito democratico, di fronte alla crisi libica, diventa responsabile. E, direbbero i pacifisti senza se e senza ma, guerrafondaio. «Nei limiti della risoluzione dell'Onu», ha sentenziato ieri Pier Luigi Bersani, «siamo disponibili a sostenere un ruolo attivo dell'Italia». Attivo non per modo dire: dalla concessione delle basi all'intervento con caccia che sganciano bombe. Semmai, se una critica il Pd fa al governo, è di non essere abbastanza disponibile a far la guerra. «Dobbiamo mettere a disposizione tutto ciò che è possibile. La concessione delle basi è il minimo», ha protestato il lettiano Francesco Boccia. Nel cambio di marcia c'è, del resto, una coerenza: della guerra in Iraq, l'Ulivo contestò l'assenza di una risoluzione dell'Onu e dunque l'illegittimità internazionale. Ora che l'Onu si è mossa, non c'è motivo per fare i pacifisti. Oltretutto le ragioni dell'intervento in Libia ricordano quelle dell'operazione in Kosovo, condotta dal governo D'Alema. Per questo il Pd, ieri, ha votato insieme alla maggioranza nelle Commissioni Esteri e Difesa per autorizzare la risoluzione votata al Palazzo di Vetro. Massimo D'Alema, presente alla seduta, è stato tra i più solleciti nel sostenere la necessità di un coinvolgimento dell'Italia: «Nessuna iniziativa di questo tipo si può svolgere senza il consenso dell'Italia, consenso che è necessario. Anche per questo è molto importante dire subito sì, autorizzando il governo a prendere tutte le misure possibili». Il Pd legittimamente bellico non ha tentennamenti. Perché c'è l'Onu, perché c'è Obama. E perché, se i primi due non bastassero, c'è Giorgio Napolitano, più che mai convinto della necessità di intervenire. Non a cuor leggero: ci attendono «decisioni difficili», ha detto ieri. Poi ha fatto un parallelo tra il nostro Risorgimento e quanto sta accadendo in Libia: come 150 anni fa i nostri padri hanno lottato per la libertà, così «non possiamo rimanere indifferenti alla sistematica repressione di fondamentali libertà e diritti umani in qualsiasi Paese». Parole che chiudono ogni possibile discussione: il Pd è autorevolmente chiamato alle armi. Detto questo, la scelta dell'uso della forza - sia pur legittimato dall'Onu - non sarà una passeggiata, per i democratici. Si è capito ieri quando Nichi Vendola si è smarcato dalla responsabilità bellica dell'alleato. «Dobbiamo impedire che Gheddafi completi la  sua macelleria civile, ma anche vigilare con cautela che l'opzione militare non si trasformi in qualcosa di imprevedibile». Un “ma-anche” degno del miglior Veltroni. Il peso della bilancia, però, pesa sulla seconda parte delle due frasi: evitare che «l'opzione militare» degeneri. E non c'è solo Vendola. L'Italia dei Valori, come anche la Lega, ha disertato le sedute delle Commissioni Esteri e Difesa. In un comunicato, hanno spiegato che il partito «è disponibile a sostenere qualsiasi iniziativa che, sotto l'egida dell'Onu, sia volta a tutelare i civili dalle rappresaglie di Gheddafi, ma non un impegno diretto dei nostri militari in azioni di guerra». Due posizioni che preoccupano i democratici. «Alle amministrative», rifletteva ieri un dirigente, «ci faranno la pelle su questa vicenda». Come se non bastasse, si aggiunge la posizione della Cgil: «Credo sia necessario», ha detto ieri Susanna Camusso, «fermare il genocidio e il rischio di combattimenti dentro la Libia senza però usare strumenti di guerra». L'azione va bene, ma non l'uso della forza. Per non parlare della sinistra radicale, per ora fuori dal Parlamento. Basta sentire Oliviero Diliberto: «Siamo in guerra, in sfregio della Costituzione». Per il Pd, perciò, non sarà facile mantenere questa linea. Soprattutto a poche settimane dalle elezioni amministrative. Peraltro ieri colpiva il silenzio dei popolari (sia di maggioranza che di opposizione), mentre i veltroniani si sono schierati sulle posizioni del segretario. I prossimi giorni diranno se la svolta “bellica” del Pd reggerà all'urto di Vendola, di Di Pietro e della Cgil. di Elisa Calessi

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