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'Repubblica', la l ezione di Saviano fa fango da tutte le parti

Lo scrittore aggiunge una chicca alle sue ossessioni anti-Cav: "La privacy sacra, ma non la sua" / BORGONOVO

Andrea Tempestini
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La macchina del ridicolo manovrata da Roberto Saviano non conosce soste. Il motore sbuffa, i bulloni stridono, la cinghia di trasmissione rotea forsennatamente e alla fine il marchingegno partorisce l'ennesimo articolo confezionato su misura per incantare i lettori di Repubblica. Un pezzo fatalmente identico a quello che lo precede e sicuramente analogo a quelli che verranno. L'argomento è sempre il medesimo: la fantomatica macchina del fango composta dai servi di Berlusconi. Circolano talmente tante macchine, ormai, che il giornalismo italiano sembra il circuito di Montecarlo. Non contento di diffondere il Verbo tramite carta stampata, Saviano si concede anche ai tour nelle librerie e alle comparsate televisive, con un'agenda più fitta di quella su cui Ruby annotava i denari incassati. Ieri l'autore di Gomorra ha raggiunto l'apice: se prima lo credevamo un martire, dobbiamo ammettere che è diventato la Santissima Trinità. Egli è infatti uno e trino, poiché nel volgere di ventiquattr'ore ha calcato il pulpito di Repubblica, quello del Festival di giornalismo a Perugia (era ospite d'onore nella serata inaugurale) e il palcoscenico di Sky, emittente che ha ripreso la sua filippica indirizzata ai cronisti di tutto il globo e intitolata «Così sì combatte il fango».  Come abbiamo detto, è il solito articolo di Saviano, il quale forse pensa di essere il pianista Glenn Gould e si diletta a suonare infinite variazioni di unico tema. Di «macchina del fango» aveva già parlato a Vieni via con me su RaiTre, nel libro omonimo pubblicato da Feltrinelli e almeno in altre cento occasioni sui giornali e sul piccolo schermo. Ogni volta, però, aggiunge particolari minuti ma rilevanti. Ieri  ne ha infilati alcuni straordinari. Ha spiegato a tutti noi poveri scribacchini al soldo del Cavaliere quale differenza passi fra «diffamazione e inchiesta». Ovvero: «L'inchiesta raccoglie una molteplicità di elementi per mostrarli al lettore. La diffamazione prende un singolo elemento privato e lo rende pubblico». Semplicemente geniale. Se un cronista rende noto ai lettori un aspetto della vita privata di qualcuno, significa che lo diffama. A rigor di logica, dunque, Saviano quando racconta come sia dura la sua esistenza da sorvegliato speciale, quanto siano rari e difficoltosi gli incontri con le donne eccettera si diffama da solo. Seguendo il ragionamento, una buona metà di Gomorra sarebbe diffamazione bella e buona. Attenzione, però. C'è il trucco: la privacy, spiega lo scrittore «è sacra». A meno che tu non ti chiami Silvio Berlusconi. «Se candidi le tue amiche e puoi finire vittima di ricatti ed estorsioni, questo smette di essere un fatto privato». Se abbiamo capito bene funziona così: se un giornale di centrodestra pubblica una notizia che riguarda la vita privata di una persona, diffama. Se Repubblica o il Fatto si infilano sotto le lenzuola del premier, è colpa del Cavaliere che si fa ricattare. Qualora poi qualcuno osi mettere il naso negli affari di Gianfranco Fini, mal gliene incolga poiché intende «demolire la tua vita, la tua dignità, anche laddove non c'è ombra di reato». Il bigino di giornalismo prodotto da Saviano offre anche una magistrale trattazione della vicenda di Dino Boffo, l'ex direttore di Avvenire, il quale fu massacrato dalla macchina del fango «riesumando una storia vecchia di anni che riguardava una multa pagata per chiudere una diatriba giudiziaria minima (telefonate a una persona che non voleva essere disturbata)». Sarebbe come descrivere lo tsunami giapponese alla stregua di un'onda un po' diversa dal solito. Nel caso di Boffo ci fu una condanna per molestie, ma Saviano liquida tutto parlando di «una multa», quasi fosse una contravvezione per divieto di sosta. Inoltre, spiega che il giornalista   fu «costretto a dimettersi». Costretto da chi? Dal “potere”? Vorremmo sapere chi manovra la macchina del fango, chi sono questi Grandi Vecchi che un tempo colpivano - parole dello scrittore - Pier Paolo Pasolini, Giacomo Matteotti e Giovanni Falcone e oggi (pensa i ricorsi storici...) Fini, Boffo e lui stesso. C'è sempre Berlusconi a tirare le fila? O forse la massoneria, la  P2, gli alieni, i rettiliani? Ma forse abbiamo capito: Saviano non ci svela i nomi dei colpevoli per non diffamarli. Mica fa parte della macchina del fango, lui. di Francesco Borgonovo

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