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Un processo breve da brivido: si agita pure Gianni Letta

Cronaca di un martedì di fuoco: al via tra trucchi e imboscate le 190 votazioni sulla riforma. Oggi l'ok finale

Andrea Tempestini
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Se anche Gianni Letta in mattinata ha intravisto nuvole oscure sopra Montecitorio, si può capire come sia iniziata la giornata per la maggioranza. «Si preannuncia una settimana incandescente. Sono giorni affannosi e amari», ha detto il sottosegretario alla presidenza del consiglio, mettendo da parte per una volta la sua riservatezza istituzionale. Ma forse quella di Letta è pretattica, un modo per mettere un po' di sale sulla coda dei deputati, visto che, dal punto di vista numerico, il primo giorno di votazioni del processo breve è filato via abbastanza liscio. Almeno al confronto con gli scontri andati in scena la scorsa settimana. Così, verso le tre di pomeriggio, quando si inizia a votare, i parlamentari della maggioranza, sospinti dagli sms di Fabrizio Cicchitto, sono tutti presenti, ministri compresi. L'incubo per i deputati del centrodestra ha il volto da eterno ragazzo di Roberto Giachetti, vicecapogruppo del Pd. «Ci sono 190 votazioni in poche ore, appena si rilassano li mandiamo sotto...», fa sapere l'ex radicale esperto di tattica d'aula e imboscate parlamentari. E Giachetti il suo asso lo cala subito, con la richiesta di rimandare il testo in commissione. Nel centrodestra scatta l'allarme rosso e la richiesta viene respinta per dodici voti. L'altro pericolo per Silvio Berlusconi è rappresentato dalle fibrillazioni nella maggioranza (da parte dei Responsabili ancora a digiuno di poltrone) e nel PdL (con le diverse anime in lotta tra loro). Faide interne sedate dalla tregua armata imposta dal Cavaliere. L'input da Palazzo Chigi è perentorio: entro questa sera il processo breve deve passare, senza scivolate e senza cadere nelle provocazioni. Insomma, tutti presenti, nervi saldi e occhio alle trappole. Denis Verdini in mattinata vede i Responsabili e li rassicura sul futuro rimpasto. «Voteremo sì, compatti», assicura Francesco Pionati. Mentre i rapporti con gli scajoliani vengono tenuti dall'entourage di Cicchitto. Mentre ai cronisti non sfugge l'assenza di Italo Tanoni e Daniela Melchiorre, che la scorsa settimana avevano votato con il governo. «Hanno cambiato idea ancora una volta o stanno trattando?», ci si chiede in Transatlantico. Malumori vengono segnalati anche tra gli ex An: le aree di Altero Matteoli e di Gianni Alemanno sono in fibrillazione e reclamano visibilità. La tensione, insomma, si taglia col coltello. «Sul processo breve teniamo botta, ma non si può andare avanti così. La maggioranza va allargata», riflette un deputato ex azzurro. Il Pd, intanto, legge la Costituzione. Con Massimo D'Alema che “invita” il capo dello Stato, «sentiti i presidenti delle Camere», a sciogliere il Parlamento. Gianfranco Fini sorride. Poi tocca al ministro Angelino Alfano, che difende la riforma. Il Guardasigilli snocciola numeri e dati per sottolineare come l'incidenza del processo breve sui procedimenti in corso sarà minima. «Sarebbe a rischio solo lo 0,2 per cento dei processi penali, mentre ogni anno almeno il 5 per cento dei procedimenti va in prescrizione, pari a 170 mila, quasi 466 al giorno», spiega. «Ma allora, se l'incidenza è minima, perché tenete bloccato il Parlamento su questo?», gli chiede Pier Ferdinando Casini. Si inizia a votare l'articolo tre, il cuore del provvedimento: la prescrizione breve per gli incensurati. E si va avanti in notturna, fino alle 23.30 (oggi si ricomincia, voto finale alle 20). Poco prima dello stop, in aula è arrivato Umberto Bossi. E tra l'ostruzionismo dell'opposizione e qualche  pausa, non sono sfuggiti due conciliaboli interessanti: quello in aula tra Niccolò Ghedini e Giulia Bongiorno e quello in cortile tra Walter Veltroni e Giulio Tremonti. di Gianluca Roselli

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