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Sgarbi: "Galan attacca? Premier lo mette in riga"

L'intervista: "A Venezia il ministro della Cultura scieglierà un funzionario di sinistra. Dalla Biennale non mi dimetto" / BORGONOVO

Andrea Tempestini
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Vittorio Sgarbi, mentre  il ministro dei Beni culturali Giancarlo Galan va contro il collega Giulio Tremonti, lei se la prende con Galan. Che succede? «Guardi, qui non c'è Sgarbi contro Galan. C'è Sgarbi contro il nulla». Lei è arrabbiato perché Galan non l'ha nominata al vertice del Polo museale di Venezia. E si è dimesso  dalla guida del Padiglione Italia alla Biennale.  «La parola data, per un uomo, è tutto. E Galan non ha avuto la dignità di rispettarla.  Non lo ritengo un interlocutore di parola. Del resto, il mio rapporto col governo è come quello di D'Annunzio con Mussolini: mi considerano ingovernabile». Ma allora che fa, si dimette davvero dalla Biennale? «No, non mi dimetto. Ma li porterò  allo spasimo. Nel Padiglione Italia c'è posto  per 140 artisti, il mio progetto ne prevedeva 700, proprio perché volevo una sinergia fra il Padiglione e il Polo museale. Farò arrivare le opere come previsto,  vediamo dove le mettono. Le esporranno nei canali». Come siete arrivati a questo caos? «Il primo a chiamarmi è stato Alemanno, anni fa: mi chiese di fare qualcosa con lui per la campagna elettorale. Ha sposato la mia campagna per togliere l'orrenda teca di Meier dall'Ara Pacis». Poi Alemanno vince le elezioni. «Mi chiama e mi dice: “Vittorio, non posso farti assessore, ma potresti fare il presidente del PalaExpo e delle Scuderie del Quirinale”. Allora vedo Nastasi, il capo di gabinetto di Bondi, ne parliamo e sia lui sia il ministro appoggiano l'idea. Poi  interviene un altro uomo che non è di parola, Umberto Croppi». E che succede? «Teme che gli faccia ombra,  si mette di traverso. Sono  andato a trovarlo a casa, mi ha fatto capire che io rappresentavo la continuità, mentre lui preferiva il nuovo, che a suo parere era Achille Bonito Oliva. Dunque Alemanno si trova tra due fuochi. Allora mi propone di fare il sovrintendente ai musei di Roma». Non è avvenuto. «Ai musei mettono Umberto Broccoli e al  PalaExpo Ida Gianelli, una che alla Biennale  ha portato solo due artisti: un pauperista aristocratico come Penone e un radical chic come Vezzoli. Pescano  sempre a sinistra». Intanto Sgarbi resta fuori. «Sì. Però scoppia il casino di Salvatore Settis al Consiglio superiore dei Beni culturali. Bondi mi chiama e mi dice: vorrei metterti al suo posto». Ma viene scelto l'archeologo Andrea Carandini. «Un altro di famiglia aristocratica, ricco e  antiberlusconiano. Rispetto a Settis è molto più istituzionale, ma è sempre di sinistra!  Per un anno, Bondi non l'ho più visto». Però lei non è uscito di scena, anzi. «Una sera, da Vespa, vedo tre donne che parlano di cani: sono la Brambilla, la Repetti e la Martini. Tra il pubblico c'è Bondi. Mi avvicina e dice: “Ho fatto una cosa che ti piacerà, ho comprato un Michelangelo” - cioè il famoso crocifisso - “per soli tre milioni di euro, invece di 18”. Gli risposto che se me lo avesse detto prima, lo avrei sconsigliato dall'acquistarlo». Lui come ha reagito? «È rimasto un po' perplesso. Mi ha detto che aveva pensato a me per il Maxxi, a Roma. Mi sembrava un'ottima idea. Dopo la stretta di mano, la nomina non è arrivata. E anche lì è finita allo stesso modo: hanno nominato il dalemiano Pio Baldi». Lei però al Maxxi ci è finito lo stesso, come supervisore degli acquisti. «Non mi hanno mai chiamato. Non hanno fatto più acquisti per non avermi fra i coglioni. E  dicono che ho troppi incarichi...». Alla fine, però, il ministro le ha dato il compito di curare il Padiglione Italia alla Biennale. «Sì, pensavo fosse l'ennesima bufala. Invece mi hanno scelto davvero, anche se tra la proposta e la nomina è passato molto tempo». Come nasce l'idea di nominarla al vertice del Polo museale di Venezia? «Bondi aveva  letto una mia intervista in cui dicevo che avrei  fatto volentieri il direttore dell'Icr, l'Istituto per la conservazione e il restauro. Bondi chiama Nastasi e glielo dice, ma il capo di gabinetto risponde che è già stato nominato qualcuno, però ci sarebbe la possibilità di affidarmi il Polo museale di Napoli o quello di Venezia. Io scelgo Napoli, mi piacciono le sfide. Poi capisco che è meglio Venezia e accetto». A quel punto è fatta. «Bondi mi dice che mi nomina, ma si dimentica di comunicarlo al direttore generale, il quale, visto che il posto è vuoto, pubblica un bando per nominare un interno. Ecco perché  la Corte dei Conti ha avuto da ridire». Bondi però ha insistito. «Sì, perché gli avevo parlato di una Biennale che unisse l'antico al moderno. Gli chiedo di parlare con Paolo Baratta per ottenere, in occasione dei 150 anni dell'Unità, il Padiglione Italia ai Giardini della Biennale. Non riesce a ottenerli, ma Baratta assicura che lo spazio previsto all'Arsenale sarà ampliato e si potrà estendere alla Galleria dell'Accademia e alle altre sedi del Polo museale. Qui è la chiave di tutto. E ricordo che il sovrintendente Giulio Cantalamessa inagurò le Gallerie dell'Accademia  per la prima Biennale del 1895. Questo era il progetto concordato con Bondi e Baratta». Che cos'è cambiato con l'arrivo di Galan? «Con Galan ci siamo parlati, mi ha detto che mi stimava, che mi avrebbe nominato. Poi si è fatto montare dai burocrati del ministero, una casta contraria a ogni cambiamento, e non ha mantenuto la parola». Che farà adesso? «Ho fatto ricorso al Tar. E Galan ieri mi ha detto: “Spero che tu lo vinca”. Dicono che sono il migliore, poi nominano gente di sinistra e burocrati (di sinistra anche loro). Galan critica Tremonti, poi permette che la Corte dei Conti dia la linea politica». Giusto, le critiche a Tremonti... «Galan non ha espresso alcun pensiero di senso compiuto. Sbaglia con Sgarbi, evidentemente ha perso l'orientamento e ha colpito  senza sapere quello che faceva prima me e poi Tremonti, per mettere alla prova l'affetto di Berlusconi. È stato servito: la durissima bacchettata del premier forse gli farà capire che ha sbagliato con me. Povero Galan: si è distratto. Doveva insospettirsi ieri quando il Fatto su di me gli ha dato ragione. Ma sono certo che ritroverà la retta via. Tremonti e Sgarbi non si toccano. È l'economia della cultura». intervista di Francesco Borgonovo

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