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Consulta e il matrimonio libero "Sì anche per i clandestini"

Nuova sentenza: nozze anche senza permesso di soggiorno. E' l'ultima spallata al pacchetto sicurezza di Maroni / SPECCHIA

Giulio Bucchi
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Finchè morte non vi separi. Sicché pure i clandestini - una volta contratto il pacchetto sicurezza di Maroni -  potranno ora contrarre matrimonio. Alla voce “immigrati” una notizia, ieri, scivolava tra i lanci d'agenzia, tra le proteste della Cgil sui «Cie luoghi d'ingiusta detenzione...» e la vicenda boccacesca del poligamo marocchino 44enne espulso, recidivo con più figli del biblico Giacobbe. Ed era questa, la notizia del sen fuggita: «La Corte Costituzionale ha bocciato una norma del pacchetto sicurezza che impone il possesso di un regolare permesso di soggiorno all'immigrato che vuole sposare un cittadino italiano». A cui seguiva, in arido linguaggio tecnico, da brocardo diremmo: «Con la sentenza 245/2011, redatta dal presidente Alfonso Quaranta, la Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 116, I° com. del codice civile, come modificato dall'art.1, com.15, L 94 15 luglio 2009 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), limitatamente alle parole “nonché un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano”». Il che significa una sola cosa. Che, richiamando una sentenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo sul diritto insopprimibile di maritarsi - o ammogliarsi - con uno straniero, quello stesso straniero può tranquillamente essere un clandestino. È indubbiamente una sentenza interpretativa quanto rispettabile, per carità. Ma, a parte l'ennesima badilata inferta all'orgoglio del ministro degli Interni Maroni, è una sentenza che giunge in un momento storico particolare. Quasi fosse il culmine di una curiosa escalation. L'immigrazione clandestina è tema scivolosissimo; tocca una serie di grandi questioni, dal welfare state all'istruzione, dalla prostituzione, alle protezioni giuridiche, al diritto di voto. E pochi giorni fa la Corte Costituzionale ha boccia i divieti anti-accattonaggio e anti-lucciole adottati da numerosi comuni in seguito alla legge del 2008. Nei mesi scorsi gli ermellini avevano già bloccato il reato di clandestinità e riconosciuto la non-punibilità dell' immigrato in stato di indigenza. In entrambi i casi Maroni e la Lega, ebbero un travaso biliare. Ma il pacchetto sicurezza è da sempre oggetto di tiro al bersaglio. Già a dicembre 2010, a dare una spallata alla normativa ci aveva già pensato sempre la  Consulta con sentenza (359/2010) che formulava, più o meno: se l'extracomunitario non è in grado di lasciare l'Italia perché non sa dove andare e, soprattutto, se è indigente, be' è il caso che rimanga. Poi era arrivata la decisione del Tar di Milano: anche lo straniero in possesso di un permesso di soggiorno temporaneo ha diritto al sussidio economico del Comune. Tale sentenza apriva la strada a centinaia di ricorsi e allargava a macchia d'olio i confini di chi finora poteva accedere ai contributi statali per gravi difficoltà economiche. Ma non è tutto. Ci fu, poi, un seminario di studi sulla “Regolarizzazione (L.102/2009) e sul recepimento nell'ordinamento italiano della cd. direttiva rimpatri”. Fu il 15 gennaio scorso, in un sabato piovoso, nell'Aula di Corte d'Assisi di Verona; noi stessi vi partecipammo, circondati da esponenti di Magistratura Democratica e dell'Asgi, l'Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione, che quel convegno organizzavano. Durante quell'alternarsi di voci e opinioni autorevoli ci affiorò il sospetto che magistrati e avvocati, a forza di simposi e riunioni ad hoc stessero svolgendo silente opera di moral suasion all'uopo di sfarinare la nostra legge sulla sicurezza; il tutto sbandierando, sminuzzando, sezionando la mitica direttiva 200/11/Ce della Comunità Europea in materia di “rimpatri per i cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare”, roba allora non ancora recepita dallo Stato italiano.  Tra i relatori si stagliavano avvocati, magistrati e illustri accademici che tuonavano con frasi ad effetto, tipo  «è doveroso non applicare direttamente la norma»; o non «si dovrebbe consentire a chi ha il potere pubblico di selezionare colf e badanti e non parrucchieri e muratori, di trattare gli immigrati come categoria merceologica solo per interesse politico». Sembrava, insomma il pezzo di un enorme puzzle di cui, però, non ci era chiaro l'insieme. Dopodichè, per un bizzarro disegno del Fato, il “pacchetto sicurezza” cominciò a spacchettarsi a colpi di sentenze successive... di Francesco Specchia

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