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Comuni, la loro mangiatoia: oltre seimila società inutili

La politica gestisce 6.800 società partecipate che non servono a nulla se non a piazzare amici e parenti e costano 82 mld. Bechis

Andrea Tempestini
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La cifra è impressionante, e va presa per difetto: lo Stato imprenditore è ancora proprietario di ben 6.847 società di capitali attraverso i suoi enti locali. Di queste ben 5.860 appartengono a comuni e province, e sono state censite dalla Corte dei Conti nel 2010 nell'unica indagine completa mai fatta sulle municipalizzate e dintorni. Altre 987 sono invece direttamente o indirettamente controllate dalle Regioni, anche se la cifra andrebbe presa per ampio difetto perché solo alcuni governatori hanno aderito alla richiesta di piena trasparenza inserendo sia l'elenco delle partecipazioni dirette che quello delle partecipazioni indirette. Per anni la mappa è stata impossibile solo da disegnare. Poi è partita la Corte dei Conti inviando a ciascun ente locale un questionario sulle proprie partecipazioni e nonostante importanti defezioni nelle risposte, è stato possibile avere un'idea di quel piccolo Stato-padrone. Da un paio di anni, grazie a una circolare dell'ex ministro della Funzione pubblica Renato Brunetta, tutti gli enti pubblici (comprese le camere di commercio) debbono pubblicare la lista delle partecipate inviandone copia al ministero e inserendola sui propri siti Internet quando è possibile. Così si è compreso quanto lo Stato-padrone sia ancora presente, e spesso costi non poco alle tasche degli italiani. Per fare funzionare quelle società, consorzi, agenzie, cooperative pubbliche ogni anno si spendono più di 82 miliardi di euro, e spesso nonostante questo sforzo, bisogna poi coprire perdite di bilancio attraverso ricapitalizzazioni o conferimenti. Nel solo 2009 le mini-società pubbliche hanno fatto registrare un rosso in bilancio di 418,8 milioni di euro. Più o meno un terzo di loro da almeno cinque anni non presenta un utile, né arriva al pareggio. Fra le 6.847 molte sono note ai cittadini: sono le municipalizzate più classiche, quelle per il trasporto locale in città e in provincia, quelle della raccolta per i rifiuti, quelle dell'acqua che ora debbono restare pubbliche, e quelle che in vario modo forniscono energia. Ma insieme a queste ce ne sono centinaia che si occupano di cose diversissime: dalle società per lo sviluppo del territorio, a quelle di edilizia residenziale, a quelle per la cultura. Numerose regioni hanno la proprietà di società di «film commission», che in sostanza forniscono agevolazioni e anche finanziamenti per chi gira immagini in location che potrebbero portare turisti in zona. Numerose le partecipazioni in società autostradali dal Veneto alla Sicilia, come in società aeroportuali, termali o di promozione turistica. Ci sono poi parchi, mercati ortofrutticoli, aziende turistiche, incubatori aziendali, consorzi di bonifica, società di recupero ambientale, società di conservazione dei beni culturali, società artistico-musicali, società di gestione fieristica di ogni natura. La Regione Molise controlla anche le funivie locali e uno zuccherificio. Il Lazio ha una quota nella Centrale del Latte di Roma, grazie a una privatizzazione poi retrocessa. La Campania è azionista di maggioranza della Trianon Viviani spa che ha per finalità la «diffusione della cultura attraverso attività teatrali anche come strumento di valorizzazione delle attività collegate al turismo». Nel 2010 la Trianon Viviani ha perso 575.467 euro. La Valle d'Aosta, oltre al Casinò di St. Vincent controlla anche un convitto e una casa di riposo. La Sicilia controlla anche una società di produzione cinematografica, la Cinesicilia srl. La Liguria ha una quota in un'azienda agricola dimostrativa, la Toscana ha 26 imprese direttamente controllate e 24 collegate, fra cui 5 cantine, due aziende di conserva e un caseificio, cui si aggiunge anche il Golf La Vecchia Pievaccia Spa. La Puglia si è fatta il suo istituto di ricerche economiche e sociali, per controllare meglio la comunicazione dei dati economici del territorio. Gli esempi sono infiniti, visto che hanno il loro bel portafoglio azionario anche comuni meno noti come quelli di Preganzio, Sedriano, Castel di Lama, Pianopoli, Valdagno, Olivadi, Gizzeria, Rubiera, Binasco e mille altri. Se appena i comuni sono più grandi, come quello di Sesto San Giovanni, diventano holding di partecipazioni: le società controllate sono 14. Naturalmente tutte queste società pubbliche sono molto care ai politici, che riempiono di colleghi trombati o di amici e compari i consigli di amministrazione e poi infittiscono gli organici dei semplici dipendenti con i loro clienti elettorali. Affidate in mani altrui probabilmente funzionerebbero meglio e non farebbero spese inutili. Fossero state messe sul mercato magari ci saremmo evitati la pioggia di tasse che abbiamo appena visto... di Fosca Bincher

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