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A Napoli i vigili lavoro-esenti sono di più di quelli effettivi

Tra permessi e distacchi per attività sindacale, in città gli agenti impossibilitati al servizio in strada sono più di quelli assunti

Matteo Legnani
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Totò si chiedeva: siamo uomini o caporali? Più di mezzo secolo dopo, Napoli chiarisce il dubbio: siamo vigili urbani. 'E Gguardie, dicono da quelle parti, con due g. Numero 24 della smorfia partenopea, lo stesso della pizza. Ma questo non vuol dir niente,  fate conto che non l'abbiamo scritto. 'E gguardie, a Napoli, sono 2.075. Un bel numero, anche se la città è grande e il traffico immenso. Il guaio, però, è che i vigili possono essere anche 1.000. O 100. O addirittura meno di zero. Numeri variabili nella città di Gigino De Magistris, che fu la città di Rosa Russo Iervolino e prima ancora di Antonio Bassolino. Tutti sindaci di sinistra, ma anche questo forse non vuol dir niente, fate di nuovo conto che non l'abbiamo scritto. Il mistero dei vigili flessibili è stato spiegato dal comandante Luigi Sementa e riassunto dal Mattino. In breve: i vigili sono sempre quelli lì, i fatidici 2.075, piccolo esercito che deve regolare il traffico e svolgere decine di altre incombenze. Però, un vigile su quattro è dirigente sindacale. In quanto tale, gode di un certo trattamento non di favore ma relativo alla carica sindacale: permessi, distacchi e cose del genere. Giusto. E il numero di poliziotti a disposizione comincia a decrescere. Settecento vigili hanno più di cinquant'anni. In quanto ultracinquantenni, godono, anche loro, di un trattamento non di favore ma relativo all'età. Giustissimo: noi ultracinquantenni solidarizziamo e applaudiamo. E il numero decresce ancora. Cinquecentonovanta vigili risultano inidonei al lavoro. In quanto inidonei, hanno diritto ad essere totalmente o parzialmente esentati dal servizio. Anche questo, naturalmente, non è un favore ma un atto dovuto. Più che giusto: se uno è inidoneo, non è Superman, mica può starsene impalato per ore sotto il sole e sotto la pioggia a fischiare e fare multe. E il numero decresce ulteriormente. Centotrentasei vigili godono di permessi di studio. In quanto studenti con regolare permesso, sono esentati dai servizi festivi. Sempre giusto e giustissimo: lo studio è fondamentale, anche per i vigili urbani, che, stranezze napoletane, fanno gli esami la domenica, quando scuole e università sono chiuse. E il numero dei vigili in servizio diventa addirittura negativo. Napoli è una caso unico al mondo, compreso il Terzo Mondo. Fatti i conti, addizionati i permessi, aggiunti gli impedimenti, i distacchi e le inamovibilità, la città si ritrova con 2.075 vigili pagati e 2.187 vigili che non possono svolgere il lavoro per il quale vengono pagati. Ci sono più vigili impossibilitati che vigili effettivi. Il tutto non per opera e virtù di San Gennaro ma per grazia ricevuta dalla legge. Immaginiamo che, almeno ogni tanto, ci sia anche qualche vigile che si assenta per ferie o per malattia. E per un motivo o per l'altro, sempre con la legge e il certificato dalla loro parte, i vigili ci sono ma non esistono. Ora avete capito perché in città passano tutti col rosso? Scherzi a parte. A Napoli c'è un detto: «Chi fatica magna. Chi non fatica magna e beve». E se il detto resiste da secoli qualche motivo deve pur esserci. Cin cin, signori napoletani e non napoletani: questa è l'Italia del posto fisso e inamovibile. E questa è anche la città di Gigino De Magistris, il sindaco-sceriffo che appena pochi giorni fa ha detto: «La polizia municipale ha un ruolo importante in termini di prevenzione e sicurezza, non può non essere armata». Bravo, sindaco, così fanno i veri sceriffi. Ma prima di dare ai vigili una pistola, non sarebbe il caso di togliere loro qualche permesso? «E io pago», disse Totò in “47 morto che parla”. E questo, a maggior ragione in epoca di Imu e di accise, vuol dire molto, fate conto che l'abbiamo scritto con grande amarezza e preoccupazione. E con tutto il rispetto per le “gguardie”, doppia g e numero 24 della smorfia napoletana. Stesso numero della pizza. Indigeribile. di Mattias Mainiero

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