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Zazzaroni: Inter, Ranieri avrebbe dovuto dimettersi

Allena da 25 anni, e pur di conservare il suo posto è costretto a resistere alle battute e alle incertezze di Moratti

Nicoletta Orlandi Posti
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L'hanno applaudito a lungo e con un calore sospetto. È successo lunedì a Coverciano dove gli allenatori si sono ritrovati anche per consegnare i premi della categoria a Guidolin, panchina d'oro per la A, e all'esonerato Tesser per la B (mandano via sempre i migliori). Ulivieri, il presidente di tutti loro, e colleghi non hanno resistito alla tentazione/impulso di riconoscere a Luis Enrique il grande merito di essere rimasto l'unico in Italia a rispettare il mestiere, e il ruolo: Lucho decide, sceglie, fa e talvolta disfa, impone: tempi, modi, trasparenze e soprattutto codici di comportamento (i casi Osvaldo e De Rossi). Gli altri, ciccia, e compromessi, e mediazioni. Gli altri - escluso Conte, forse - non possono più essere sé stessi. Perché hanno bisogno di lavorare e continuare a guadagnare, e soffrire per qualcosa o qualcuno evitando possibilmente di stare troppo a lungo con famiglie che li hanno sempre visti poco dal momento che prima di allenare avevano giocato per almeno vent'anni. Per noi umani la panchina è un triste destino, il simbolo del dopo, del declino, dell'inutilità; per chi allena è una condizione irrinunciabile, uno status, il senso della vita. Pensate a Ranieri. Pur di conservare il posto è condannato a resistere alle battute di Moratti, alle sue incertezze, ai «penso che domenica ci sia ancora lui». Ranieri allena da un quarto di secolo, l'ha fatto in Italia, Spagna, Inghilterra e a sessantun anni ha avuto l'Inter. Nel momento sbagliato: e ci sta. Contro il Catania affronterà il collega che a Roma gli subentrò e che potrebbe essere suo figlio ben sapendo che anche un pareggio lo condannerebbe al pensionamento dorato ancorché temporaneo. Ranieri è uno che sa stare al mondo, è misurato, educato ma orgoglioso e anche scaltro. Lo conosco assai bene eppure non riesco a immaginare quanto possa soffrire i cambiamenti di umore del presidente, i suoi dubbi resi pubblici («se ci siamo chiariti? Sì»). Si consola, l'ex Aggiustatore, con l'ottimo stipendio che corre (e correrà) puntualmente, e con la speranza. Che è sempre l'ultima a morire. Lavorare, esserci, non uscire dal giro (Lippi non vede l‘ora di rientrare): il resto non conta e allora si può anche accettare di allenare in Giappone o in Serie A per 150-200mila l'anno euro e in B per 65-70 (Pecchia, Bergodi e altri). Edy Reja, 66, di euro ne prende tanti di più e si rende conto che la Lazio è la sua ultima big. Ama il suo lavoro, sa di avere ottenuto risultati eccellenti e per questo accetta che Lotito e Tare, proprietario e braccio destro, gli complichino l'esistenza: si è già dimesso due volte, l'aveva fatto anche a Napoli con de Laurentiis: le sue sono state mezze dimissioni. Nel frattempo Lotito si è dato da fare, ha ottenuto il sì di De Canio, convocato Zola ed è tornato sui suoi passi per due motivi: al momento di decidere mancavano poche ore alla partita con la Fiorentina che avrebbe preceduto la settimana del derby. Reja presenterà la Lazio alla Roma sapendo che Zola è pronto a subentrargli. E Cosmi? E Beretta? E prima di Beretta Arrigoni? Quando le cose sono andate male più di una volta negli ultimi tempi, non resta che prendere quel che passa il convento e inseguire il miracolo dei miracoli. Quello che i tecnici aggiungono sul conto lo perdono in salute. Vi sembra - guardandoli in faccia - che Guidolin e Ballardini, i primi che mi vengono in mente, possano essere usati come testimonial del viver sano? di Ivan Zazzaroni  

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