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India ipocrita: i suoi soldati stupratori in Congo, ma il processo lo fanno a casa

Sui delitti dei suoi caschi blu Onu in Africa Nuova Delhi non ha avuto dubbi sulla giurisdizione. Ma con i marò...

Giulio Bucchi
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Difficile trovare un precedente al caso dei due marò: sia se accettiamo il punto di vista italiano che il fatto sia avvenuto in acque internazionali; sia se accettiamo il punto di vista indiano che il fatto sia avvenuto in acque territoriali indiani. Nel primo caso, infatti, gli indiani avrebbero arrestato due militari italiani per un'azione compiuta in territorio italiano. Nel secondo caso, ci troveremo di fronte a un'azione compiuta da militari di un Paese nel territorio di un altro Paese, il che possono fare o nemici, o alleati. I nemici non vengono però arrestati e processati ma detenuti come prigionieri di guerra, in attesa della risoluzione del conflitto. Mentre per gli alleati provvedono gli accordi intercorsi. Come accadde per i militari statunitensi imputati per la strage del Cermis, che furono processati (e assolti) da una corte militare Usa. E come è accaduto per i 12 ufficiali e 34 soldati del contingente di Caschi Blu indiani in Congo: che per abusi sessuali ai danni di donne congolesi lo scorso luglio sono stati posti sotto processo in India, e non in Congo. Cermis e Okinawa - Semmai, anzi, sarebbe stato più corretto estradare i Caschi Blu indiani in Congo che non detenere i due marò in un carcere indiano. I due marò, come gli aviatori americani del Cermis, sono accusati di un errore mentre svolgevano servizio comandato, e non di un reato comune. A Okinawa capita abbastanza spesso che la polizia giapponese arresti i militari di servizio nella locale base Usa, per una varietà di reati comuni che va dallo stupro al furto d'auto, al teppismo: il governo Usa non ha la pretesa che questi comportamenti siano coperti da immunità, che hanno avuto invece gli indiani per i loro militari in Congo. Si può anche ricordare che Kappler condannato in Italia per la strage delle Fosse Ardeatine era detenuto in un carcere militare, e Noriega catturato come prigioniero di guerra una volta condannato per reati comuni nel carcere Usa ha continuato a godere dei diritti di prigioniero di guerra. Visto che gli indiani hanno preteso di far giudicare da un tribunale militare i loro militari stupratori colpevoli di reati comuni, ancora di più il diritto al rispetto del loro status dovrebbe essere garantito a due marò.   Va detto che la presenza di militari a bordo di navi mercantili in funzione anti-pirateria ha creato uno scenario nuovo. Strategie - Ma «ogni decisione di definire una situazione come stato o atto di guerra è di natura eminentemente politica e non giuridica» ci ricorda Ricardo Scarpa: docente di Diritto Comunitario a Roma Tre e esperto di Diritto Internazionale. Proprio Scarpa ci aiuta a definire alcune possibili strategie di risposta, nel caso la via diplomatica dovesse arenarsi. «Innanzitutto, un magistrato italiano potrebbe provare a chiedere l'estradizione dei due marò per farli giudicare in Italia». Gli indiani però insistono che la cosa è avvenuta nel loro territorio. «E allora si dovrebbe andare alla Corte dell'Aja. In ipotesi, il principio che una nave italiana è territorio nazionale potrebbe scattare l'ipotesi di attacco a un Paese membro invocata dal Patto Atlantico, che obbligherebbe gli altri Paesi membri a intervenire in difesa dell'alleato. Sicuramente la Nato avrebbe più motivazioni per agire di quante non ne abbia avuto per intervenire in Libia».  Il che implicherebbe una soluzione estrema militare. «Se la diplomazia e la politica non funzionano, la prosecuzione della politica con altri mezzi è una soluzione militare. Come insegna Clausewitz». di Maurizio Stefanini

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