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Maria Mulas, la regina della fotografia a Milano

Una mostra ripercorre l'attività di una delle maggiori artiste visive della contemporaneità

Giulio Bucchi
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Tra i luoghi deputati agli studi artistici a Milano (Ied, Naba, Accademia di Brera ecc.) il Liceo Artistico di Brera vive da qualche tempo una singolare attenzione, per via di progetti di eccellenza, per la settimana dell'arte che annualmente diventa un fiore all'occhiello dell'istituto, per insegnamenti di vivace qualificazione e soprattutto per mostre di altissimo livello che qui vengono proposte e messe in opera. E' il caso della mostra dal titolo Maria Mulas. Fuoricampo che tra aprile e maggio 2012  è stata dedicata a Maria Mulas, regina della fotografia italiana.  Operare con la fotografia è per Maria Mulas chiamare in causa gli anni e il presente ma anche il ritmo della storia che attraversa il mondo e ne manifesta civiltà, epoche, religioni, classi, costumi e poteri. “Uso la fotografia per cercare di registrare le manifestazioni dell'ingegno e dello spirito umano che ancora permangono nel paesaggio quotidiano del nostro Paese”, così scriveva  il fotografo americano Jim Dow, e ciò mi pare possa essere premessa singolare per questo corposo lavoro a più tratti che Maria Mulas, illustre fotografa italiana, ha ideato per mettere in evidenza soprattutto una sua estetica, una estetica dell'immagine.  Nel 2009 vinse il Premio delle Arti Premio della Cultura per la Fotografia con una motivazione ancor oggi attualissima: “L'occhio fotografico di Maria Mulas ha trovato nella dialettica del vissuto e nei ritratti assoluti, l'attimo di un racconto immortalato dove valore estetico e tecnica delle parti segnano il capitolo più alto della storia fotografica degli ultimi decenni”. Maria Mulas è passata dall'immagine rappresentativa all'immaginazione procreativa, visto che l'approccio estetico a questi scatti è una ridistribuzione del sensibile. “Fuoricampo” come recita il titolo di questa mostra milanese al Liceo di Brera, vale in quanto le apparenze non devono essere solo un velo per ricoprire la realtà, possono essere anche un mezzo per immaginare nuove realtà o rileggere ex-novo realtà  storiche. La Mulas mantiene il ruolo dell'osservatrice imparziale nel cogliere nei suoi scatti naturalezza e artificiosità, anche con interventi straordinari e minimali su ritratti in posa e architetture in divenire.  In mostra ci sono capitoli diversi del suo lavoro, ritratti di  borghesi, ritratti di artisti, architetture come  astrazione e persino passaggi d'ambiente. Anzitutto i borghesi, ritratti con le loro libertà, la loro solitudine o anche la scanzonatezza, il loro stile di vita. Uno stile di vita particolare, capace di tradurre il proprio immaginario in una serie di minute azioni quotidiane: abitudini, atteggiamenti, status, vestiti, acconciature, consumi. Per i ritratti di artisti, messi in campo da un'artista qual'ella è, la scelta dei personaggi è intanto emblematica, sono compagni di percorso e di lavoro creativo, e al centro non vi è più la storia in sé e per sé con le sue leggi, ma il modo in cui  essa giunge a impressionare le facoltà percettive del singolo. Volti noti, figure, una molteplicità sempre crescente di immagini messe a fuoco, o prodotte in un attimo o in un punto con uno scatto fotografico, da un soggetto osservatore. Queste immagini, questi ritratti di artisti, se osservate, sono del tutto discontinue tra loro, come non possono non  essere fra loro tante immagini di immobilità  - l'attimalità è discontinuità -  che in un attimo si mutano come le mode. Volti di artisti, tipici, archetipali, figure che compongono nel complesso un reticolo teso a mostrare archetipi e talune sfaccettature della contemporaneità.    Poi  queste memorabili architetture, fermate  fra la lontananza della macchina fotografica e il soggetto e il pulviscolo atmosferico che fluttua nell'aria e che si frappone, rendono  queste immagini quasi astratte, fissandole quasi in un limite di leggibilità  e di visibilità. Ma non possiamo dimenticare che l'architettura è la forma primaria e più potente della comunicazione di massa e al tempo stesso specchio della potere e della storia. E' così che, da sempre l'architettura colta dai grandi fotografi - lo è anche per la Mulas - è sfruttata intenzionalmente per sedurre, per impressionare, per raccontare, per spiegare. Ritengo che l'arte fotografica rappresenta  ciò che è, nel senso che prende la misura dalla realtà esistente, ma può anche esprimere mondi visivi e forme esperenziali che premono oltre la misura contemporanea. Ciò, perchè intervengono  sul fotografo  cultura, sapere, memorie, ricordi, stati d'animo,e altro;per cui sotto questa luce l'apparenza  porta a rendere visibili nuovi sensi del visibile, del dicibile e del pensabile, quasi come a liberarci da quella che Andrè Breton chiamava “posizione realistica”. Maria Mulas  è da tempo  narratrice  dello scatto e della luce, e oggi con questa serie di  capitoli che hanno nel tempo campionato il suo lavoro ha messo in piedi una sorta di “fotografia cinematografica” di eccellenza, con un bianco-nero che coglie una  affettiva città, una Milano monumentale e nello stesso tempo intima, dove lo slide show svela una sorta di diario personale, di vissuto oltre la storia che ogni cosa e persona  già possiede. Ella rovescia lo scenario architettonico reale o simulato da reportage tout court, per svolgere una pratica estetica in cui la realtà è letta come in uno specchio, per  creare immagini poetiche coi tempi di visione rallentati.  di Carlo Franza  

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