di Giuliano Zulin I numeri sono impietosi. Da 58 a 18 deputati, da 22 a 17 senatori (di cui 11 eletti in Lombardia, 5 in Veneto e 1 in Piemonte). Il Carroccio ha perso il 54% dei consensi rispetto al 2008. Per vedere la doppia cifra bisogna guardare il nord Lombardia (17,55%) e al sud della Regione (10,88%) che da oggi ha un nuovo presidente: Roberto Maroni. In Veneto 1 i padani si sono fermati al 10,85%, mentre in Veneto 2 la performance si è fermata al 10,03%. Poi il diluvio. Le polemiche. Gli attacchi interni. Eppure ieri la Lega è entrata nella storia d’Italia: ha preso la Lombardia. Guiderà le tre principali regioni del Nord. Se non è la Padania, poco ci manca. Il sogno cullato dal 1984 è diventato realtà. E senza Umberto Bossi al comando. Un miracolo, un’operazione chirurgica, un capolavoro di strategia. Roba da Enrico Cuccia degli anni d’oro: un colpo degno del miglior architetto di patti di sindacato della finanza. Bobo è riuscito a ottenere il massimo risultato, sfruttando la paura di perdere di Berlusconi. Il segretario leghista aveva in mano un sondaggio che lo dava al 28%, tra Carroccio e lista Maroni. Non ce l’avrebbe mai fatta e così ha tirato matto il Cavaliere, fino ad ottenere la candidatura ai danni di Gabriele Albertini, inizialmente presentato dal Pdl. Certo, ci ha messo soldi, parecchi, e un gran lavoro sottotraccia per uscire a testa alta dalle urne. E infatti la Lega più la lista civica del presidente hanno conquistato oltre il 23%, più del quasi 17% del Pdl. Un risultato che gli permetterà di non essere succube degli azzurri nella composizione della giunta. Per due anni, fino alle Regionali del 2015 in Veneto e Piemonte, Maroni proverà dunque a realizzare questa benedetta «macroregione» con Luca Zaia e Roberto Cota per chiedere al governo (quale, non si sa) di trattenere il 75% del gettito fiscale prodotto al Nord. Per la prima volta nella storia repubblicana ci sarà un blocco padano che, se si dimostrerà all’altezza, potrà finalmente fare lobbing contro Roma sprecona. Un mondo tutto da costruire, che nessuno sa come potrà venire. O sarà il flop dei flop, oppure sarà il vero governo ombra dell’Italia: governare contro il Nord non si può. Per cui il potere che avrà Maroni sarà ben maggiore di quando era al Viminale. In Europa la Catalogna e la Scozia, l’anno prossimo, voteranno per la secessione. In Padania non c’è una coscienza indipendentista, o almeno non ancora: la crisi economica e di governo potrebbero risvegliare i milioni di lombardi, veneti, piemontesi, emiliani, liguri e friulani che nel 1997 votarono alle elezioni padane dentro i gazebo verdi. Bobo ha quindi davanti un’autostrada. C’è solo un piccolo particolare: per correre avrà bisogno di un’auto potente. E non può essere questo Carroccio il suo bolide. I risultati delle Politiche, soprattutto in Veneto, sono disastrosi. Zaia ha di fatto chiesto la testa di Flavio Tosi dalla segreteria della Liga, con parole mai sentite: «Ha trasformato la ferita in una cancrena». E la cancrena non si cura: si taglia. Il governatore veneto vuole forse l’espulsione del sindaco di Verona? O è proprio Flavio che vuole uscire da questa Lega e fondare un suo movimento, per provare la scalata verso Venezia o - perché no? - Roma? In Piemonte Cota ha ratificato le dimissioni dell’assessore Giordano, indagato per corruzione. E i bossiani sperano che Maroni mantenga la promessa: dimettersi dalla segreteria. Ma con questo casino non è possibile che un nuovo leader (Salvini?, Tosi?) ricomponga le ferite morali che hanno trasformato il partito in una guerra per bande. Conviene insomma che Maroni resti segretario federale e presidente della Lombardia. Solo così potrà mediare fra le divisioni in Veneto e, soprattutto, gettare le basi per il recupero leghista. Senza un partito serio anche la macroregione resterà uno slogan, come la devolution e il federalismo.