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Ciclisti, Filippo Facci: "Alcuni sono il vero colera del traffico"

Filippo Facci
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Non c'è nessun dibattito sulla Milano a 30 all'ora inteso come limite massimo: a meno che ci si riferisca al turpiloquio quotidiano che oppone auto, furgoni, camion, autobus, filobus, tram vecchi e nuovi, tassisti, quadricicli, scooter, bici, bici a noleggio, bici a pedalata assistita, bici elettriche, minibici pieghevoli, tricicli, ultimi segway, hover board, monoruota, skateboard, persino i pattini, persino scarpe con ruote estraibili, e ovviamente i maledetti monopattini, e non ultimi i cari vecchi pedoni: perché la gran parte di questi mezzi passa bellamente sui marciapiedi o ci viene parcheggiato o abbandonato, e rompe i cogli*** a tutti.

Estendere il limite dei 30 all'ora sarebbe anzitutto una sfottitura per chi, durante le sempre più estese ore di punta, vive i 30 all'ora come una regola forzata a partire dalle tangenziali. Sarebbe una misura - lo sanno tutti - che aumenterebbe l'inquinamento. Sarebbe un'ecatombe se replicata a Roma, dove se superi i 30 all'ora tamponi il mezzo davanti (soprattutto sul Lungotevere, dove il concetto di corsia è sconosciuto) come capita in altre città che non siano Amsterdam, Berlino, Lubiana, Padova, Parigi, Torino, Vienna, tutte realtà dove ci sono lunghi viali storici o ricostruiti dopo la guerra, e dove per ricavare delle strade non hanno dovuto coprire i Navigli come nella medioevale Milano.

CULTURA ALIENA - Non c'è nessun dibattito, quindi. L'idea di una Milano a 30 all'ora sarebbe solo un'imposizione culturalmente aliena alla città che «corre» (la giungla milanese ha regole tutte sue, e chi non si allinea viene espulso) ma che la rende più disciplinata di altre metropoli che hanno il doppio delle auto. Quel che è vero è che Milano sta diventando una città sempre più nevrotica e classista, dove i pendolari sono palesemente discriminati a vantaggio dei clan di benestanti che vivono in centro. Dite un po': avete mai visto un vigile urbano che controllasse il wattaggio di una bici elettrica? Avete mai visto multare un ciclista che passa sulle strisce pedonali o sul marciapiede? Vi risulta che i ciclisti che passano col rosso becchino multe?

Non avete mai visto biciclette o monopattini nelle aree pedonali, vero? E neppure trabiccoli cinesi del bike sharing ammassati in giro o gettati direttamente nel Naviglio, giusto? E neppure piste ciclabili clamorosamente vuote (salvo mamme coi passeggini) mentre i ciclisti se ne fottono e passano rigorosamente in strada, macché, mai visto niente del genere. Di notte non vi è mai capitato di vedervi tagliare la strada da una bici lanciata a tutta velocità senza luci né casco.

Milano, sappiamo, è anche una città per furbi e per dementi, con le Lamborghini che passano a due all'ora in corso Venezia o lungo il Quadrilatero, coi furgonisti che «sto lavorando» (carico e scarico con le quattro frecce) e le mamme imbranate col suv che «mi fermo solo un momento» (in terza fila davanti alla scuola, carico e scarico di figli in mezzo alla strada) ma i più insopportabili restano loro, i ciclisti (certi ciclisti, almeno) che sono il vero colera del traffico milanese.

 

 

Loro che vagheggiano Amsterdam anche se vengono da Quartoggiaro, citano Berlino - ricostruita settant' anni fa - mentre tu sei immobile a un semaforo su una strada costruita in pietra di fiume lungo le mura. Le nuove regole della Milano finta-ecologista e neo-classista stanno distruggendo quel suo lato asburgico che le ha sempre fatto reggere equilibri che farebbero collassare qualsiasi altra città anche nordica: la Milano veicolare, ora, come detto, è una fomentatrice di haters. Anche se non è Napoli, dove ancora si possono vedere famiglie arrampicate su uno scooter senza targa, o come in Calabria- vecchiette in carrozzella caricate sull'Apecar. Magari, chissà, diverrà l'avanguardia mondiale della micro-mobilità: purché non si tiri in ballo l'ecologia, visto che i monopattini e tutto l'elettrico non sono ecologici per niente: non emettono anidride carbonica, ma l'impatto va calcolato in termini di emissioni di gas serra («carbon footprint») che tengano conto delle emissioni necessarie alla produzione di un oggetto e al suo funzionamento. Nel caso - come calcolato da più studi pubblicati sulla rivista scientifica Environmental Research Letters - l'elettrico risulta meno ecologico dei mezzi che si usavano al loro posto. Anche il resto si sa: i limiti di 30 all'ora farebbero aumentare le emissioni perché costringerebbero a usare marce più basse e a consumare più carburante. Milano resterebbe comunque veloce come è Milano, perché anche ciclisti-lavoratori (che portano missive, cene, cocaina) basano sulla velocità il loro guadagno. Ma crescerebbero gli incidenti. Città coi limite a 30 all'ora non esistono: cioè sì, esistono, ma nessuno va davvero a 30 all'ora, si sfora con un accomodamento all'italiana. Milano lo imparino i signori di Roma odi Bologna, che straparlano di modello milanese- abbonda di piste ciclabili che restringono le carreggiate e aumentano il traffico, in compenso sono vuote. I ciclisti si disincentivano da soli, preferiscono la strada ordinaria.

La verità è che nel «modello milanese» sono perlopiù i fighetti e i benestanti a usare la bicicletta: sono loro che possono permettersi di pedalare senza abbruttirsi sugli orridi mezzi pubblici che premono dalla periferia; sono loro che si sentono in diritto di ogni cosa e caracollano in mezzo alla strada come a dire che l'errore sono gli altri, e che vanno sui marciapiedi, se ne fregano dei semafori, imbeccano sensi unici, vanno con le cuffie, stanno al cellulare, svoltano senza segnalare, fanno correre il cane, si affiancano uno con l'altro, rallentano il traffico più di un Tir.

FALSE VERITÀ - Dicono che i limiti a 30 all'ora riducono gli incidenti mortali: ma restare a casa li riduce anche di più, sempre che non abbattano anche le case e i palazzi per fare nuove aree verdi dove distribuire retini per farfalle e spacciatori serali. La Milano finta ecologista si conosce: ha il bolide in garage, ma di giorno, in città, circola con la bici supertecnica con la sella di cuoio e diciannove cambi sequenziali, oppure, se donna, col cestino di vimini col fiocchetto. Il perfetto milanese dei 30 all'ora è il giornalista che per spostarvi da via Solferino alla periferia pretendeva al minimo un ponte aereo; è la mamma-chic che attraversa disinvolta incroci pericolosissimi usando i figli come scudi umani; è il giovanile rampante che sfila sollevato dalla sella come se avesse dei ricci nel sedere; è il giovane hipster con barba e occhiali d'ordinanza che trascina ferrivecchi antecedenti al 1960 e pesanti come Moto Guzzi; è dulcis in fundo - la strafiga che pedala in tacco 14 e tailleur nero e corre all'apericena fingendo indifferenza per la catasta di automobili che intanto si è spatasciata nel tentativo di inquadrarla meglio. È questa la Milano dei 30 all'ora. C'è già. 

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