Cerca
Cerca
+

Beppe Sala e le bici condivise? I (prevedibili) motivi di un eco-fallimento

Beppe Sala

Pietro Senaldi
  • a
  • a
  • a

Il sindaco di Milano, Beppe Sala, ha comunicato che i veicoli in sharing - automobili, ciclomotori, biciclette e monopattini che il Comune mette a disposizione dei cittadini a pagamento - costituiscono solo il 4% della circolazione urbana e che non c’è molta speranza che la percentuale salga; casomai diminuirà. Se il capoluogo lombardo è un po’ l’avanguardia di quello che succede poi nella nazione, significa che questo esperimento di spostamenti eco -sostenibili è fallito; in molte città, addirittura prima di iniziare. Sala ha le sue colpe, come sempre. Ci ha creduto più per moda e a parole che nei fatti, come sempre. Però stavolta ha responsabilità limitate. È la moda, il sentimento dei tempi, la sua grande musa, che ha cambiato direzione e l’ha tradito.

Lo sharing, chiamiamolo così per essere moderni, è stato bocciato dalle persone comuni. Sopravvive il suo mito tra gli eco-maniaci, che non sono poi così tanti, visti i mezzi verdi presi in affitto nella capitale degli ambientalisti. La vita a modo di chi ci dice come viverla non fa breccia nel cuore degli italiani; è la maledizione della sinistra, che pretende di dire a tutti cosa è giusto e quindi doveroso fare e cosa no. Ed è, in materia ambientale, la follia degli eco-maniaci, che talvolta diventano eco-vandali e che, almeno loro a differenza dei predicatori rossi modello standard, hanno il pregio della coerenza. Solo che non fanno proseliti.

 

Peraltro, aldilà delle considerazioni sociali, ci sono motivazioni molto tecniche se il mezzo di trasporto in condivisione lo vogliono condividere sempre meno persone. In principio fu il Covid a dargli la prima botta, il terrorismo di Speranza e Conte ha fatto sì che gli italiani abbandonassero il mezzo in sharing per la paura del contagio. Poi arrivò la presunzione di chi pensava che il progetto sarebbe decollato solo perché lo aveva detto lui, ossia solo grazie al bombardamento mediatico dei sacerdoti del bene; che si scontrano sempre contro la realtà.

 

Le auto in condivisione? Non si trovano. Ci sono solo in centro, dove guarda caso abitano gli eco-maniaci. In periferia sono del tutto assenti mentre nei quartieri residenziali di seconda cerchia mediamente bisogna fare un chilometro a piedi per trovarne una. Sono anche spesso sporche e trasandate, perché il proverbiale nonsenso civico italico fa sì che il mezzo pubblico venga trattato come un bene usa e getta. C’è poi il pizzo in caso di contravvenzione: venti euro di sovrattassa oltre alla multa che incassa la società che gestisce il parco auto a titolo di cauzione sul pagamento dell’ammenda, che però non vengono mai restituiti.

Infine, Sala e i sindaci suoi epigoni raccolgono quello che hanno seminato. Una città pensata per rendere un inferno viaggiare su quattro ruote, fatalmente fa sì che nessuno voglia prendere l’auto condivisa; se proprio uno deve soffrire, meglio nel proprio abitacolo. Le piste ciclabili che restringono le corsie e aumentano il traffico e le ore al volante, il taglio dei parcheggi nelle strade, i trabocchetti e i divieti imposti alle vetture sono un prezzo che le auto in condivisione, che non si possono mettere nel box di casa se fuori non c’è posto, pagano prima delle altre. Un tempo almeno erano delle smart, o comunque delle city-car, che uno piazzava bene o male dove voleva.

Ora sono delle berline, che non si sa più dove posteggiare. Poi ci sono i ciclomotori, che il Comune fa pagare come se si noleggiasse una Mercedes, mentre chi sceglie le due ruote è abituato a mettere dieci euro nel serbatoio e tirare due settimane. Come ci metti il sedere sopra scatta il tassametro: un euro, e poi via fino a 4-5 euro per tratta. Per di più sono veicoli scassati e, a parte la ripresa, lenti. Instabili e fragili, quindi insicuri.

Quanto alle biciclette, che richiedono i quadricipiti di Moser per raggiungere una velocità superiore al passo d’uomo, sono forse la cosa meno di tendenza e più fantozziana in circolazione in città. Pedalando, pare che abbiano ancora la catena legata al palo. Che poi Milano sarà anche piccola, ma immaginare di poterla attraversare anche solo per metà come fosse una scampagnata al parco, è pura utopia. Se non ti arrotano i camion e se non buchi sul pavé, comunque tre chilometri tra i gas di scarico ti valgono minimo quanto mezzo pacchetto di sigarette infilato dritto nei polmoni. Se piove poi, arrivi in ufficio tutto bagnato, se fa caldo - si intende da maggio a settembre ti presenti parimenti fradicio, ma di sudore; se hai fretta e provi a darci con lena, l’ascella pezzata è garantita anche a marzo, aprile e in ottobre.

Insomma, le biciclette non se le piglia nessuno e chi lo fa le usa solo per spostamenti minimi, tant’è che ciascuna lavora in media solo una volta al giorno e per undici minuti. Sui monopattini, perfino Sala è costretto a dire ufficialmente che stanno sulle rotelle a quasi tutti, pericolosissimi per chili guida ma anche per chili incrocia, essendo veloci e silenziosissimi. In attesa che arrivi la prossima eco-trovata; si spera stavolta, fruibile senza una laurea in informatica, perché anche questo è il problema dell’utilizzo dello sharing, almeno per la maggior parte di chi ha più di cinquant’anni; che in città spesso sono la maggior parte dei residenti.

Dai blog