Perché Emanuele De Maria era fuori dal carcere? Nell’immaginario collettivo la domanda che rimpalla nei chiacchiericci, come la pallina di un flipper, è esattamente quella. Perché un uomo condannato in via definitiva a 14 anni e tre mesi di carcere, confermati con sentenza definitiva della Cassazione il 26 gennaio 2021, per l’omicidio di Racheb Oumaima, una giovane tunisina di 23 anni che si prostituiva per pagarsi la droga da cui era dipendente, aveva ottenuto il permesso per lavorare fuori dal penitenziario di Bollate? E la legge, si affrettano a dire gli addetti ai lavori.
LEGGE APPLICATA
Certo, è la legge. E la norma in questione è l’articolo 21 dell’ordinamento penitenziario, quello che regola il lavoro all’esterno dei detenuti e degli internati. Questo beneficio permette loro di svolgere un’attività lavorativa al di fuori dell’istituto, sotto la supervisione della direzione. L’obiettivo è garantire l’attuazione degli scopi di rieducazione e reinserimento previsti dall’articolo 15. Sulla base di questa normativa, dal 25 novembre dell’anno, scorso il detenuto Emanuele De Maria era impiegato stabilmente all’accoglienza ospiti della struttura ricettiva di via Napo Torriani. Quindi aveva tutti requisiti per godere del beneficio? Dopo l’assassinio avvenuto a Castel Volturno, il 31 Gennaio 2016, l’allora 27enne era scappato in Germania, dove viveva in quel periodo, e dove fu poi catturato nel 2018 ed estradato in Italia.
Il direttore del carcere di Bollate, Giorgio Leggieri, con l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, sei mesi fa ha ritenuto che il 35enne, la cui condanna sarebbe terminata il 26 gennaio del 2031, avesse maturato le condizioni per poter rendere definitivo il suo contratto a tempo pieno. Secondo la normativa, per il tipo di reato da lui commesso, dopo almeno cinque annidi espiazione della pena De Maria aveva il diritto di poter essere ammesso al beneficio del permesso di lavoro esterno. E lui li aveva scontati: catturato il 22 gennaio del 2018 a Weener, città a Nord della Germania al confine con i Paesi Bassi, e poco dopo estradato in Italia, è stato in cella prima a Napoli Secondigliano e poi, a condanna definitiva nel 2021, è stato trasferito a Bollate.
FASCICOLO PERSONALE
La decisione di rendere stabile il suo contratto di lavoro era stata presa anche tenendo in considerazione la sua condotta e il riscontro positivo che gli addetti ai lavori avevano dato sul suo conto. E cioè «il fascicolo personale dello stesso, le attuali risultanze dell’attività di osservazione della personalità riportata nella relazione di sintesi del 4 marzo 2023 che prevedono l’ammissione al lavoro esterno», ma anche la constatazione «che il detenuto ha dato prova di affidabilità e che la proposta lavorativa pare adatta alla prosecuzione del percorso trattamentale in atto». Agli atti non risultava uno sgarro, mai un ritardo, un problema. Lui sembrava apprezzare l’opportunità: «Sta andando molto bene, mi sento molto accettato da parte di tutti i miei colleghi. C’è un sentimento molto positivo tra di noi» aveva dichiarato in un’intervista al programma Mediaset Confessione Reporter. Forse le cose non erano come apparivano.
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«Per noi non è in discussione l’istituto dei permessi», sostiene Aldo Di Giacomo, segretario generale del Sindacato di Polizia penitenziaria (S.PP.), «male condizioni della concessione degli stessi», e per questo continuiamo a porre domande: il sistema penale è adeguatamente attrezzato per valutare il rischio di recidiva e esistono misure sufficienti per proteggere la società da individui pericolosi come De Maria?». «Episodi come questo», afferma Christian Garavaglia, capogruppo di FdI in Consiglio regionale della Lombardia, «impongono una riflessione seria sulle norme che regolano i permessi ai detenuti, soprattutto nei casi in cui si tratta di soggetti già macchiatisi di crimini violenti». I politici di sinistra e la magistratura sono sempre molto morbidi con certi carcerati e a favore dei riti alternativi nei loro confronti, come in questo caso», rimarca il deputato di FdI, Riccardo De Corato, «il risultato grave è che il prezzo più alto lo pagano le città in termini di sicurezza».