"Con un passamontagna ho sedotto il mondo dell'arte"

Stefano Fraone: "Disegnavo con l’iPad la contrapposizione tra lusso e moti dell’anima Oggi mi scopro il volto e torno ai pennelli. In questa città manca condivisione"
di Giorgia Petanigiovedì 19 giugno 2025
"Con un passamontagna ho sedotto il mondo dell'arte"
3' di lettura

 Un uomo con il balaclava all’interno di case bellissime. Fuma, distrugge oggetti, beve, mangia, medita, contempla. Fa cose normali. Piccoli gesti quotidiani compiuti però all’interno di ambienti estremamente lussuosi. È questa l’immagine ricorrente nelle opere dell’artista milanese Stefano Fraone. “Il personaggio è nato durante il Covid”, spiega a Libero l’artista, che annuncia però l’abbandono del passamontagna e di quello che è stato, nel corso di questi anni, una sorta di alter ego.
Del resto, ci sono momenti della vita in cui è necessario togliersi la maschera per imparare a riscoprirsi diversi e accogliere con stupore ciò che verrà. Classe 1987, cresciuto in zona Sarpi, Fraone ha fatto del nascondere il proprio volto un vero e proprio marchio di fabbrica.

E poi cosa è successo? Solitamente ci si affeziona al proprio personaggio...
«Credo che quel personaggio mi abbia dato tutto ciò che potevo prendere. Oggi coprirsi il volto è anacronistico, sembra quasi un gioco. Anche il nome stesso, dotpigeon. Non ne sento più l’esigenza. La mia ambizione è quella di elevarmi sempre di più a livello professionale, e metterci la faccia e il nome credo sia, oggi, la scelta migliore».

Com’era nato il personaggio?
«Durante il Covid. Eravamo chiusi nelle nostre case e non mancava il tempo per pensare. Le opere raccontano i nostri tempi. Gli arredi di lusso rappresentano ciò che appare, mentre ciò che proviamo non è sempre così sfarzoso. È una dicotomia tra ciò che mostriamo e ciò che realmente proviamo e viviamo interiormente».

Che tecnica hai utilizzato?
«Ritengo di aver trovato un nuovo modo di proporre l’arte digitale. Disegno con l’iPad e, successivamente, le opere vengono stampate su tela. Sono pezzi unici».

In che modo?
«Se si guarda nel dettaglio, si può notare che ho riprodotto delle vere e proprie pennellate. È una presa in giro dell’arte tradizionale che si prende troppo sul serio».

Come definiresti il panorama artistico milanese?
«Milano offre molte possibilità, ma ciò che manca è il senso di aggregazione e di condivisione. Ho più rapporti con artisti esteri che italiani. C’è molta competizione e questo è poco produttivo.
Anche le gallerie tendono a collaborare con realtà straniere. Sembra che molte persone non abbiano voglia di trasmettere ciò che hanno imparato».

Quanto è importante creare una rete di persone?
«Moltissimo. Uno dei miei obiettivi era quello di coinvolgere altri artisti. Nell’80% delle mie opere, all’interno delle case, inserivo sempre un’opera o una struttura di un altro artista contemporaneo. In questo modo, oltre a creare rete, era possibile unire le fan base di più persone. Purtroppo o per fortuna bisogna anche considerare l’aspetto più pragmatico di questo lavoro».

Non ti spaventa l’idea di abbandonare il tuo personaggio e di perdere la tua identità?
«I cambiamenti fanno sempre paura. A volte temo di non riuscire a trasmettere visivamente ciò che ho dentro, ma attualmente mi sento più focalizzato su quello che voglio fare in futuro rispetto a ciò che sto lasciando. Sarebbe stato più semplice restare in quella comfort zone, ma, come dicevo, non mi appartiene più».

E oggi, in quale direzione stai andando?
«Sto iniziando a dipingere perla prima volta, nonostante non abbia mai studiato pittura. Avrei il tempo e i mezzi per iscrivermi a un’Accademia di Belle Arti, ma mi piace l’idea di non avere una formazione tradizionale e di lasciare emergere quello che ho dentro. Non mi interessa lo studio accademico».

Che materiali utilizzi in questo nuovo periodo artistico?
«Non uso acrilici o colori convenzionali dell’arte classica. Utilizzo materiali da edilizia: sono economici, hanno una resa diversa, sono crudi e li sento miei. Uso anche elementi materici, come ad esempio la sigaretta. Il vecchio personaggio fumava sempre, e ora le sigarette fanno parte della tela: quando sto per finirla, le uso per lavorarla».

Hai pensato a una sorta di funerale artistico per salutare il tuo personaggio?
«Sì, ci ho pensato, ma ora mi sto concentrando sul presente. Quando avrò un corpo di lavoro consistente, potrei usare quel personaggio per traghettare le persone nella mia nuova era”.