«Ci infiltrano, ci reprimono». È questo l’ultimo grido di battaglia lanciato dagli attivisti di Cambiare Rotta e dal partito Potere al Popolo, i quali hanno annunciato di venirci a trovare questo giovedì mattina sul posto di lavoro. Il messaggio apparso sui social recita così: «Contro la criminalizzazione del dissenso e la legittimazione della repressione diciamo no ai professionisti della menzogna», si legge sulla locandina. Lo slogan è accompagnato da un lungo messaggio in cui veniamo accusati di essere un «fogliaccio» in prima linea contro «i lavoratori» e ogni «opposizione sociale e politica del Paese». Ma non solo. Secondo alcuni dei nostri più assidui lettori, saremmo «tra i maggiori tifosi del criminale di guerra Netanyahu» e, a parte dare voce «al solito vittimismo e indignazione dei “prenditori” italiani di fronte a scioperi e proteste», poco sapremmo fare. Eppure, quelli che si mettono a frignare e gridare interrompendo convegni, eventi e università non siamo noi...
Per i nostri amici di Cambiare Rotta, infatti, i giornalisti delle redazioni di Libero e de Il Giornale impiegherebbero il tempo ad attaccare e screditare «il nostro movimento politico» e le «organizzazioni studentesche», mentre — sempre secondo loro — è in corso «un’infiltrazione reale» all’interno delle stesse organizzazioni, che però sembrano essersi dimenticate (o forse non hanno mai conosciuto) il significato delle parole democrazia e libertà di stampa. Quante volte intellettuali, attivisti, politici e scrittori — a sinistra — si riempiono la bocca con questi valori? Eppure accade qualcosa di strano: molti di coloro che si ergono a paladini della libertà d’espressione spesso applicano due pesi e due misure, a seconda di chi ci sia dall’altra parte della barricata. E quando siamo noi a finire sotto attacco — ovviamente — nessun messaggio di solidarietà, nessuna difesa del nostro lavoro. Se a questo punto vi state chiedendo cosa abbia scatenato tanta rabbia nei nostri confronti e a cosa si riferiscano in particolare i ragazzi di Cambiare Rotta, la risposta è semplice: tutto ruota intorno a un servizio pubblicato da Fanpage il 26 giugno. Si tratta dell’inchiesta sui cinque poliziotti infiltrati nel partito Potere al Popolo e nell’associazione giovanile Cambiare Rotta a Napoli, Milano, Roma e Bologna.
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Lo chiamano dibattito, ma evidentemente a sinistra non hanno idea di cosa sia il confronto. Quello vero, che mette sullo...Ma come al solito, le grandi inchieste di Fanpage si sono rivelate un buco nell’acqua, dato che come sottolineato dal sottosegretario all’Interno Emanuele Prisco nei giorni scorsi: «Nessuna operazione sotto copertura, nessuna infiltrazione in partiti e movimenti politici, ma soltanto l’adempimento dei propri compiti istituzionali nel pieno rispetto della legge», aveva spiegato Prisco rispondendo all’interpellanza della parlamentare pentastellata Gilda Sportiello. Gli attivisti sembrano inoltre avere le idee confuse visto che per loro stessa ammissione affermano di non sapere quali fossero gli obiettivi precisi degli “infiltrati” nelle loro organizzazioni. Eppure, gli operatori non hanno mai svolto attività di infiltrazione in alcun partito o movimento politico, ma «hanno solo partecipato alle manifestazioni pubbliche organizzate da aggregazioni studentesche con connotazioni estremistiche, che avevano manifestato una crescente aggressività».
Come ricordato dal sottosegretario, qualsiasi agente fuori dal servizio, «ha l’obbligo di informare l’autorità competente sulle notizie di reato acquisite. Nessuna operazione sotto copertura, dunque, ma solo l’adempimento dei propri compiti istituzionali, nel rispetto della legge». Ma questo non è bastato a placare l’animo delle nostre anime ribelli, che per ribadire il loro dissenso contro tutto e tutti hanno deciso di venirci a trovare in via dell’Aprica. Del resto, gli attivisti di Cambiare Rotta di tempo libero ne hanno parecchio, vista la quantità di blitz organizzati nel corso di questi anni. Lo scorso maggio si erano dati appuntamento davanti all’ingresso della facoltà romana di Scienze politiche per contestare il regolamento che disciplina le elezioni universitarie nella loro facoltà.
Tre settimane fa, a Torino, un gruppo di studenti ha fatto un blitz all’interno della sede della Collins Aerospace/Microtecnica, esponendo degli striscioni dalle finestre, in quanto ritenuta colpevole di far parte «del novero delle aziende belliche più importanti a livello mondiale per la produzione, ricerca e distribuzione di tecnologie belliche e armamenti». Un’azione di disturbo era stata organizzata anche in occasione dell’ultimo esame prima della discussione della tesi in Filosofia del ministro della Cultura, Alessandro Giuli. Insomma, i nostri attivisti, sono sempre in prima linea — purché non sia alle 8 di mattina, (inizialmente era stato fissato a quest’ora) ma soprattutto purché non si tratti di lavorare. A monitorare la situazione sarà la Digos.