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Facci: "Noi ingannati"

Nicoletta Orlandi Posti
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Ebbene sì, qui pensiamo che la mafia, per come è stata prefigurata per decenni, e per come il mondo l'ha messa in letteratura, non esista più. Lo scriviamo perché Repubblica, ieri, ha dato voce al solito pm Antonino Di Matteo e se l'è presa con «chi abbocca all'inganno di una mafia che non c'è più». Cioè noi, per esempio. In effetti pensiamo che Riina sappia poco o nulla dei nuovi capetti siciliani che fanno affari di tutt'altro conio: illegali, certo. Pensiamo che non esista più una struttura gerarchico-militare. Pensiamo che non ci sia più una «cupola» anche perché i capi sono tutti in galera, e i sottoposti pure, e con loro tanti killer, estorsori, picciotti e prestanome. Pensiamo che i sequestri di armi e droga e patrimoni economici e immobiliari abbiano lasciato il segno. Pensiamo e sappiamo che le bombe e le stragi e gli omicidi seriali non ci sono più, che la presa sul territorio è allentata, che i traffici internazionali sono divenuti appannaggio di mafie non siciliane, che i quarantenni si arrangiano col riciclaggio, la finanza, gli appalti e magari la sanità: ma è un'altra cosa, è semplicemente un'altra cosa, e come tale va affrontata. C'è chi lo fa con impegno e valore. Ma poi c'è un'antimafia che fa archeologia giudiziaria e preme su processi per fatti accaduti 25 anni fa, gente che tenta di raccontarci un Paese eternamente in guerra come se tra i nostri problemi ci fosse davvero «la trattativa» o le intercettazioni del vegliardo Totò Riina. Ma è finita. di Filippo Facci

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