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Ponte Morandi, Paolo Becchi: "Genova in ginocchio, dopo le alluvioni un fiume di lacrime"

Cristina Agostini
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Una nuova grande tragedia si è abbattuta sulla mia città, Genova. Non bastavano le alluvioni e le ferite ancora aperte. Crolla ora un ponte in autostrada, mentre in un cielo cupo si sente il continuo borbottare di tuoni. La pioggia insistente trasforma il Polcevera in un fiume di lacrime. Lacrime come quelle scorgano ora dai miei occhi, mentre cerco di scrivere queste poche righe, a pochi chilometri da dove è avvenuto il disastro, da dove si stanno contando morti e feriti. I pompieri cercano ancora tra le macerie di salvare vite umane. Angeli. Il dolore è muto. La città è muta, chiusa nel suo dolore. Leggi anche: Gentiloni, la vergogna su Genova: morti e feriti. Schifo Pd, per cosa si indigna Il ponte Morandi. Ha una sua storia, la si studiava a Genova persino a Scuola, negli istituti per geometri e non solo a Genova forse. Una grande opera degli anni Sessanta. Momento flettente, carichi distribuiti, analisi delle sollecitazioni, calcoli perfetti, buoni materiali per il tempo, acciaio e calcestruzzo, per la precisione calcestruzzo armato precompresso, rinforzi più del necessario. Opera arditissima, simbolo architettonico di un' Italia che con la sua liretta era grande, con una tecnologia all' avanguardia, rispettata in tutto il mondo. Ma è un po' come per i video: puoi farne di bellissimi ma se li facevi su nastro magnetico non potevi tener conto del fatto che i nastri si smagnetizzano. Cosa voglio dire? Non ha senso prendersela con quel ponte, i responsabili delle morti non sono gli ingegneri che lo hanno costruito cinquanta anni fa. Il tempo divora tutto, anche l' acciaio. E quando il processo di carbonatazione erode il materiale non c' è intervento di manutenzione che tenga. Il ponte non è neppure andato in risonanza. Anche di questo Riccardo Morandi aveva tenuto conto. Stanco di vivere il ponte è semplicemente collassato. Il ponte era servito alla città e aveva fatto la sua storia. Bisognava inventarsi qualcosa di nuovo: andava abbattuto e forse rifatto. O andavano pensate altre soluzioni adeguate ai tempi. E già, ma per fare tutto ciò ci vogliono i soldi, e noi le lirette per fare tanti investimenti pubblici non le abbiamo più. Noi siamo soggetti al «vincolo esterno» e gli imbecilli sui giornali continuano persino a scrivere che tutto questo è un bene. Ecco, in ultima istanza sono loro i responsabili di quello che è avvenuto. A Genova stanno morendo sessanta milioni di italiani e questo lo dobbiamo a coloro che continuano a ripeterci che dobbiamo rispettare i parametri europei, che dobbiamo morire per Maastricht. Ecco, ora cominciamo a contare i morti. L' ingegno umano fa le pentole. Non è il diavolo che deve metterci i coperchi. di Paolo Becchi

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