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Paolo Becchi: "Il referendum anti-taglio delle poltrone è la nuova arma di Matteo Renzi"

Cristina Agostini
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Non è accettabile, dopo aver bocciato nel 2016 la riforma costituzionale renziana, farsi scivolare addosso la riforma grillina sul taglio dei parlamentari. Una riduzione di 345 seggi, senza alcun contrappeso istituzionale e col «poi vediamo» sulla legge elettorale, è inaccettabile. Per paura di passare per "casta", il testo è stato approvato in seconda deliberazione alla Camera a stragrande maggioranza, ma a luglio al Senato non fu raggiunta la maggioranza dei 2/3 dei componenti, quindi - ai sensi dell' art. 138 della Costituzione - 1/5 dei componenti di una Camera o 5 consigli regionali oppure 500mila elettori possono chiedere referendum popolare confermativo. Il fatto che tutti i partiti abbiano votato la riforma a Montecitorio rende difficile pensare che un 1/5 di una Camera presenti richiesta referendaria, così come è difficile credere che qualcuno riesca a raccogliere 500mila firme valide. Tuttavia qualche mal di pancia, tanto nel Pd che in ItaliaViva e in Forza Italia si è già manifestato. Al momento delle dichiarazioni di voto il deputato di ItaliaViva Roberto Giachetti, ex radicale ed ex Pd, pur votando in modo favorevole ha affermato di volersi mettere a capo di un comitato civico per la raccolta delle firme necessarie per la richiesta referendaria. Ma non solo. Su iniziativa della Fondazione Einaudi, i senatori di FI Nazario Pagano e Andrea Cangini, unitamente ai senatori Tommaso Nannicini (Pd) e Gregorio De Falco (Misto), hanno presentato a Palazzo Madama la proposta di referendum. Il plenum senatoriale è di 321 senatori, quindi 1/5 si raggiunge a quota 65. Leggi anche: Salvini contro Renzi, il doppio colpo di Bruno Vespa. Raiuno, tsunami ascolti: cos'è riuscito a strappare Ancor più difficile se l'iniziativa partisse anche alla Camera, dove occorrerebbero almeno 126 adesioni. Non è facile se si considera che a votare contro a Montecitorio, tranne qualche dissidente sparso, sono stati solo alcuni del gruppo Misto come Vittorio Sgarbi e Maurizio Lupi, oltre a quelli di +Europa. IL PIANO DI MATTEO - Ma l' iniziativa di Giachetti di voler raccogliere le firme dei cittadini, se supportata da qualcuno di "peso", potrebbe anche riuscire nonostante le enormi difficoltà. 500mila firme sono un'impresa pazzesca, anche perché occorre raccoglierne molte di più per evitare sorprese nelle sottoscrizioni doppie o invalide. Ma Giachetti fa parte di ItaliaViva, il nuovo partito renziano, al quale non conviene rendere operativa la riduzione del numero dei parlamentari a partire già dalla prossima legislatura. Renzi deve riportare in Parlamento almeno 40 persone, se non di più, quindi ha tutto l' interesse ad impedire l' operatività della riforma sin dalle prossime Politiche. Un conto è far eleggere una cinquantina di fedelissimi in un Parlamento di quasi mille membri, un altro è riuscirci in un Parlamento quasi dimezzato. Ma il senatore di Rignano sull' Arno non può esporsi direttamente perché verrebbe accusato da Pd e M5S di voler mettere in crisi il governo, quindi potrebbe agire dietro le quinte offrendo a Giachetti tutto il sostegno del partito, tanto economico che organizzativo, per riuscire a raccogliere le firme sufficienti. Nel caso l' impresa riuscisse, il referendum si terrebbe molto probabilmente in estate. GLI SCENARI - In questo modo Renzi si assicurerebbe tre risultati: 1) mettere 5Stelle e Pd di fronte ad un referendum popolare, facendo loro assaggiare l' amara sconfitta da lui subita nel 2016. Il popolo vedrebbe il voto come un' occasione per sfiduciare il «governo delle tasse» e voterebbe contro la riforma. Una vendetta coi fiocchi. Non a caso Salvini, Renzi e Berlusconi - per mettere in seria difficoltà il governo - sarebbero spinti a lasciare libertà di voto al proprio elettorato e finirebbe come nel giugno 2006, quando né FI né An sponsorizzarono la loro stessa riforma costituzionale e al referendum vinsero i No; 2) prendere tempo ed arrivare fino all' estate, assicurandosi così la sua quota sulla seconda tranche di nomine all' interno delle Aziende di Stato. E le nomine, si sa, portano consenso; 3) profittare della vittoria dei No al referendum e mandare il Conte2 a casa dopo pochi giorni. Crisi di governo tra luglio/agosto ed elezioni anticipate ad ottobre a Costituzione vigente. Se l' impresa della raccolta-firme non riuscisse, il senatore di Firenze ha tempo fino a fine febbraio per sfiduciare il governo e chiedere nuove elezioni a Costituzione vigente, quindi crisi di governo tra febbraio e marzo ed elezioni tra aprile e maggio. Il motivo lo abbiamo spiegato su Libero pochi giorni fa: la riforma sulla riduzione del numero dei parlamentari entra in vigore dopo i tre mesi utili alla richiesta referendaria e quindi successivamente alla promulga da parte del Capo dello Stato, tempistica alla quale si aggiungono ulteriori 60 giorni di "vacatio" previsti dall' art. 4 della medesima legge di revisione costituzionale. Insomma, Di Maio, Zingaretti e Conte sono tenuti per le palle da Renzi. Da ora in avanti iniziano le danze. di Paolo Becchi e Giuseppe Palma

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