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Il giovane Mussolini secondo Bruno Vespa

Matteo Legnani
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Un ruolo decisivo (per l'ingresso in guerra dell'Italia ) lo ebbero i socialisti e il loro eretico agitatore, Benito Mussolini. Il futuro Duce cambiò radicalmente opinione nel giro di tre mesi. In luglio era fermamente neutralista, come la grande maggioranza dei socialisti; in ottobre manifestò simpatia per l'Intesa coniando la celebre italianissima frase sulla necessità del passaggio "dalla neutralità assoluta alla neutralità attiva e operante". I compagni lo misero alla porta. L'espulsione avvenne il 24 novembre 1914, in un clima di rissa ben raccontato da Nicholas Farrell e Giancarlo Mazzuca in Il compagno Mussolini. Accusato di indegnità morale e politica, Mussolini si difese in un discorso interrotto da grida condite di calci e pugni tra le due fazioni: "Sarò ghigliottinato da un ordine del giorno che non dice i motivi di tale indegnità (...) Voi credete di perdermi: vi illudete.Voi mi odiate perché mi amate ancora. Mi amate ancora perché sono e rimarrò socialista… Strappatemi pure la tessera che ho sempre amata, ma io rimarrò sempre socialista. Evviva il socialismo!". Lasciata la direzione dell'Avanti!, Mussolini fondò un proprio giornale destinato a grande fortuna, Il Popolo d'Italia, che all'inizio fu visto con simpatia dai socialisti di sinistra, da Palmiro Togliatti ad Antonio Gramsci. Il fondatore del Partito comunista, che sarà il più irriducibile avversario del fascismo, inviò alcuni articoli alla nuova testata. A scanso di equivoci, nel primo numero Mussolini scrisse: "Il grido augurale è una parola paurosa e fascinatrice: guerra!". Questo atteggiamento gli procurò la simpatia di tanti, a cominciare da Prezzolini, che gli telegrafò: "Partito socialista ti espelle, Italia ti accoglie". L'allora trentunenne Benito Mussolini fu un esemplare voltagabbana. Trasformò in un baleno il suo grido "rivoluzione se ci sarà guerra" in quello uguale e contrario "rivoluzione se non ci sarà guerra". Si è detto che questo repentino cambio di fronte fu favorito dal denaro francese. Verificando diverse testimonianze, Gaetano Salvemini accertò che tali finanziamenti furono costanti a partire dalla primavera del 1915. "Il Popolo d'Italia", lanciato da qualche sovvenzione industriale patrocinata da Filippo Naldi, direttore del Resto del Carlino di Bologna, si trovava infatti in gravissima difficoltà per la modestia delle sottoscrizioni popolari. In aiuto di Mussolini intervennero prima i socialisti francesi e belgi, con una sovvenzione mensile di 10.000 lire (pari a 60 milioni del 2001), poi direttamente il governo di Parigi. Pierre Milza racconta che i diplomatici francesi dell'epoca ricordavano un Mussolini vestito molto dimessamente presentarsi con regolarità a palazzo Farnese a riscuotere il contributo. L'inviato di Parigi a Roma, Henri Gonse, annotava nel febbraio 1916: "Mussolini è completamente nelle nostre mani …Ci fa continue richieste di denaro. Dobbiamo soddisfarle perché nella primavera del 1915 ci è stato grandemente utile. Non possiamo smettere ciò che abbiamo fatto sinora senza che ne nascano inconvenienti". Nel 2009, grazie al sontuoso volume di Christopher Andrew, The Defence of the Realm, la prima storia autorizzata dei servizi segreti britannici, si è scoperto che più tardi Mussolini ricevette finanziamenti anche dagli inglesi. Nell'autunno del 1917 le forze dell'Intesa se la passavano male: la Rivoluzione d'Ottobre aveva fermato l'attacco della Russia alla Germania e, dopo Caporetto, l'Italia era allo stremo. Per evitare che noi facessimo una pace separata, il capo centro del controspionaggio britannico a Roma garantì al Popolo d'Italia un finanziamento settimanale di 100 sterline, pari a 9000 euro di oggi. Mussolini rispose soffocando i movimenti pacifisti di Milano. La storiografia prevalente riconosce a Mussolini di non essersi approfittato personalmente dei finanziamenti stranieri. "Per lui il miraggio del guadagno non aveva mai costituito un movente reale" scrive Milza nella sua biografia "ed egli sapeva, lasciando la direzione dell'Avanti!", che avrebbe penato moltissimo a ritrovare condizioni materiali soddisfacenti come quelle che aveva conosciuto durante i due anni trascorsi alla guida del quotidiano socialista". La stessa Rachele Mussolini, nel libro di memorie La mia vita con Benito, ricorda i primi tempi del Popolo d'Italia come "un nuovo periodo di vacche magre". di Bruno Vespa

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