Il commento di Alessandro Dell'Orto: "Caro Baldini, il tuo gioco non mi piace più"
Marco Baldini ha 55 anni e la battuta tagliente, lo sguardo da simpatico paraculo, la voce che ti abbraccia, la risata coinvolgente e una strepitosa carriera alle spalle fatta di radio e applausi, musica e applausi, televisione e applausi. Già, ma non basta. Tutto questo non basta e non deve bastare per giustificarlo a prescindere, capirlo comunque, perdonarlo e difenderlo solo perché è Marco Baldini bravo famoso e di talento e chissenefrega se i suoi errori ricascano sulla vita degli altri e bla bla bla. No, non deve funzionare così, e il buonismo a tutti i costi che sta circondando la sua drammatica vicenda è davvero fastidioso. La storia di Baldini la conosciamo tutti per averla letta nel libro Il giocatore, ogni scommessa è un debito (2005) e vista al cinema (Il mattino ha l'oro in bocca, 2008) ed è la storia di una malattia. Quella del gioco d'azzardo (ludopatia): scommesse, cavalli, ippodromi, poker, casinò, soldi buttati, debiti (oltre quattro milioni solo quelli saldati), ricatti, minacce, usurai, cadute e rinascite e poi via da capo con le ricadute. E nel frattempo i prestiti degli amici, le bugie, le fughe e una vita sempre più allo sbando tra un programma tv, un ritorno in radio e la carriera a braccetto dell'amico Fiorello. Che Marco, però, proprio pochi giorni fa ha deciso di abbandonare. Le motivazioni sono quelle di sempre e Baldini le ha spiegate con più dettagli ieri in un'intervista rilasciata al “Corriere della sera”. «Quelli che mi cercano non sono banditi, sono persone esasperate che rivogliono i loro soldi. Mi citofonano, mi stanno addosso. Non posso più lavorare. Non sono in grado di sostenere un ruolo impegnativo, ma soprattutto metterei a rischio le persone». E la reazione generale, tra i social e i discorsi da bar, prende la direzione del «poverino», «ci spiace», «che cattivi gli amici che ti hanno abbandonato» e via tra facili buonismi chic e ritratti pseudo romanzeschi della sua vita da personaggio maledetto e dannato, quasi un eroe. Che non è. Proviamo a pensarci: se a combinare lo stesso casino fosse stato un operaio qualsiasi o anche solo un odiato politico ci sarebbe la stessa attenzione e comprensione? O piuttosto indifferenza e accanimento? Il problema, sia chiaro, non è Marco Baldini, che sta vivendo una situazione drammatica, ha sbagliato e sta pagando per i suoi errori e cerca in qualsiasi modo di trovare una via d'uscita, ma quell'alone di finta comprensione che gli gravita attorno e che, anziché fargli bene, rischia di fargli altro male. E non è un caso se chi lo conosce a fondo come Linus, per esempio, nei suoi confronti ha usato parole severe ma realiste: «...ci sono molti modi di rovinarsi la vita - ha scritto nel suo blog - , ma quello che è toccato a Marco è uno dei peggiori, perché così subdolo da risultare incomprensibile. La speranza è che come è successo mille altre volte si rimangi la decisione e torni sui suoi passi. La certezza è che purtroppo non sarebbe sufficiente». Sì, realismo. E magari anche un po' più di equilibrio. Perché nell'occhiello del titolo dell'intervista del “Corriere” si legge: «Mi minacciano, ricevo 150 telefonate al giorno». Per poi scoprire, all'interno dell'articolo, che «Alcuni sono ex amici, impazziti di rabbia, hanno bisogno di quei soldi. Sono disperati, piangono, urlano, non si rassegnano. I creditori non mi danno tregua. La mia vita è un inferno». Tradotto, più che una povera vittima minacciata, Baldini piuttosto è uno che ha fregato i propri amici corsi in aiuto i quali - semplicemente e come farebbe chiunque - rivogliono i soldi. E poi viene da chiedersi perché mai dovrebbero rassegnarsi. A cosa? A non avere più il proprio denaro che non hanno regalato, ma prestato con la garanzia - come spiega ancora Baldini nell'intervista - di riaverlo presto («Quando sono disperato dico: “Prossima settimana ti ridò i soldi” anche se so che non è vero. Lo faccio per respirare»)? Marco Baldini, più che di pietà e finta comprensione, avrebbe bisogno di aiuto vero e cure (anche se assicura di non giocare più dal 2009). Più che di smettere di lavorare, avrebbe bisogno di contratti e programmi per poter guadagnare o anche di un qualsiasi impiego meno prestigioso e più faticoso, ma in grado di restituirgli rispetto per se stesso. Così da saldare i debiti e ripartire senza più bluff o azzardi. Anche se - come spiegò proprio lui nel 2005 - «Un giocatore rimarrà sempre un giocatore» di Alessandro Dell'Orto