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Grasso, il mistero del presidente che ride sempre

In Aula e al Colle, che si voti o si parli, il capo del Senato gongola. Che ci trova di tanto divertente?

Giulio Bucchi
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di Francesco Borgonovo Fa piacere, in questi anni grigi di stangate fiscali, crisi e depressione diffusa, trovare un uomo contento. I sorrisi sono merce rara e quando li vediamo aprirsi illuminando il volto di qualcuno ci si scalda il cuore. Ecco perché ci soffermiamo volentieri a osservare le fotografie e le inquadrature televisive del presidente del Senato Pietro Grasso. Egli, fateci caso, ride sempre. Prendiamo gli ultimi giorni. Il capo dello Stato Giorgio Napolitano ha tenuto un duro discorso ai parlamentari. Di fianco a lui c'era Grasso. E, per nulla intimorito, sorrideva. Abbiamo visto alla tv le immagini dell'insediamento del medesimo Napolitano al Colle per la seconda volta. Fuori dal Quirinale stava ritto in piedi Grasso. E sorrideva. Ieri, di nuovo, ci siamo imbattuti in uno scatto che immortalava Grasso mentre usciva dalle consultazioni con Re Giorgio. Sapete che espressione aveva? Stava ridendo. Sorrideva quando lo hanno nominato a Palazzo Madama. Ridacchiava durante le conferenze stampa da candidato del Pd. Ecco a voi il "Grasso ridens":  guarda la fotogallery La sua, scusate il gioco di parole, non è una risata grassa. Non è lo sghignazzo cafone di certi onorevoli usi allo sberleffo in aula. E nemmeno è la chilometrica ostensione berlusconiana della dentatura, tra il catodico e il pubblicitario. No, quella di Grasso è un'increspatura soddisfatta delle labbra, un'ondina gentile che irradia tenerezza. Più che ridere, si direbbere che egli gongoli. Tanto che, quando la bocca gli si allarga di un centimetro in più, immediatamente le mani gli si avvicinano e cominciano a sfregarsi.    Dunque ci chiediamo, rosi dall'amletico interrogativo: che cosa ha sempre da ridere Pietro Grasso? Quale pensiero gli procura letizia costante, gioia imperitura, aerea serenità? Nessuno, intorno a lui, ha la stessa espressione.  Pensate alla procedura di spoglio delle schede per l'elezione del presidente della Repubblica. Laura Boldrini appariva come al solito grave, tutta presa dalla serietà del ruolo istituzionale. Scandiva i nomi dei votati con tono deciso, consapevole del momento complicato. Nell'aula circolavano volti sfigurati dalla tensione, barbe lunghe di giorni e di stanchezza, occhi vitrei di terrore. C'era chi piangeva, chi gridava, chi si disperava. Tutti erano posseduti e stravolti dalle emozioni. Tutti tranne Grasso. Egli prendeva le schede dalla Boldrini e senza nemmeno guardarle le passava oltre, con l'incurante flemma della cassiera dell'Esselunga che struscia le sottilette sul lettore di codici a barre. All'osservatore occasionale, Grasso sarebbe apparso come un uomo che ha raggiunto il Nirvana, sorridente nella beatitudine. Lo zen e l'arte dalla manutenzione delle schede elettorali.  Certo, possiamo capirlo. Ha lasciato un lavoro usurante in magistratura per dedicarsi alla politica. Subito eletto, subito miracolato alla presidenza del Senato. Lo sfolgorante mondo romano gli si è dischiuso nel volger di poche mattine. Ma ancora non basta. Noi esigiamo di sapere: perché Grasso ride? Che ha in mente, a che pensa? Agli arancini fumanti che lo aspettano a casa? Alla busta paga che lo attende a fine mese? Alla vacuità della vita e del mestiere di politico?  Che cosa lo ispira? Forse è  il liberante entusiasmo da escursionista di Montecitorio a fargli sorvolare indenne polemiche e baruffe di partito? Può darsi.  Ma deve esserci di più. Tanta letizia non si giustifica con terrene banalità. Ci dica, dunque. Ce lo deve, il suo incarico glielo impone. Daje preside', per favore,  diccelo: ma che te ridi?

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